sabato 27 gennaio 2018

Il riflesso protagonista in Louis di Luigi D'Alessio

"Louis non disse niente. / Fu il monitor dei suoi occhiali. / Fu la tromba di Davis / furono le dita di Ahmad Jamal." Ecco il suggestivo incipit del nuovo libro di poesie di Luigi D'Alessio, pubblicato da RPlibri, un marchio editoriale che sta realizzando diversi e apprezzatissimi lavori, operando una severa selezione dei testi di importanti autori dell'attuale panorama letterario. Luigi D'Alessio non è certamente nuovo alla poesia, e la sua è una poesia di alto spessore, tanto per la ricerca e lo stile (originale e innovativa la sua forma di scrittura in dialetto napoletano, ad esempio), quanto per i contenuti.
Dopo la riuscitissima pubblicazione di "Pompei" (CartaCanta Editore, 2015), Luigi D'Alessio approda a questo suo nuovo libro, Louis, titolo che davvero può segnare e rappresentare l'inizio di un'avventura nel mondo introspettivo di sé, nel riflesso del proprio io proiettato poi al di fuori per raccordarsi alle storie e alle immagini della quotidianità e della vita di ognuno di noi. Ma Louis non è soltanto questo, o perlomeno non è una modalità introspettiva assoluta ed unica, che riguarda soltanto l'autore. Voglio dire che l'alter ego Louis è in continua competizione con l'autore, in un dialogo costante e insistente, ma è poi il riflesso, il "tu", che prende il sopravvento e conduce la storia, con determinazione da protagonista: perché è lui, il riflesso, il Louis narrante, che indica la strada da percorrere, i luoghi, le situazioni, le vicende e i sentimenti.
Il progetto poetico che traspare in questo libro è dunque davvero eccezionale e geniale: narrare i giorni e la vita attraverso le emozioni che il riflesso protagonista prova, in un avvicendarsi di immagini e di situazioni le più disparate; l'utilizzo della terza persona, il "Louis", per raccontare gli eventi, è una modalità formale pregevole, che prende subito il lettore, rimanendone incantato quasi fosse lì ad ascoltare la voce suadente di un cantastorie; non per nulla ogni poesia inizia con il riflesso protagonista soggetto dell'azione che segue: Louis fa, Louis dice, Louis ricorda… Questo soggetto introduce dei quadri, degli aneddoti, delle filosofie, dei credi, delle riflessioni, dei ricordi. Che non sono del tutto autobiografici, ma sono sicuramente applicabili a ciascuno di noi, alla nostra storia e alle nostre vedute. E il pregio della poesia, come è evidente in quella di Luigi D'Alessio, è proprio quello di assumere valori generali partendo da contesti apparentemente limitati al personale.
Louis è dunque una storia, una lunga storia personale ma anche universale, perché Louis è chiunque abbia il coraggio di soffermarsi sulle piccole cose, sul cuore del mondo e sulla verità dell'amore, Louis è chiunque abbia la volontà di riconoscersi negli angoli più riposti del proprio essere, laddove brilla e palpita la propria umanità, scandita da poche essenziali e illuminate battute di spirito. Louis è anche un viaggio nelle dimensioni altre dell'esistenza, un itinerario complesso e variegato che lambisce sponde mitologiche, scintifiche, filosofiche e letterarie, con citazioni appropriate di personaggi e di episodi che denotano la grande e approfondita erudizione dell'autore in merito a questi argomenti.
Ma interessante è anche il linguaggio, colto e non privo di punte di ironia, specialmente nei passaggi dove Louis si esprime in dialetto napoletano, un dialetto ben rimodellato dalla sua voce, molto più vicino al parlato sonoro che alla morfologia tradizionale: "Louis mi disse / Louis con la sua / sarcastica /serietà mi disse / Wènn gudd gudd / cchiù blekk ’e middenàit / chennòttubbì". La commistione linguistica in Louis è sapientemente controllata, per offrire al lettore un panorama più ampio del detto, un significato che può essere sdoppiato se non addirittura triplicato, a seconda delle sfaccettature lessicali all'interno dello stesso corpo poetico.
Luigi D'Alessio ha realizzato un progetto poetico di grandissimo valore letterario, per originalità e capacità di spaziare, con la poesia, che sempre rimane integra e risuonante, in tutti i comparti umani e sociali, dall'intimità dell'amore, dalla malinconia ai ricordi, dagli aneddoti scientifici e mitologici ai problemi del quotidiano.

Ed ecco una breve selezione di questi testi, tratti appunto da Louis, che offriamo ai nostri lettori, dai quali attendiamo con piacere eventuali ulteriori gradite note di commento.


Non prendiamoci mai
il tempo che ci serve.
Per Louis era sorprendente
la velocità con cui
lei si addormentava.

Ogni volta Louis
si sentiva dire dentro
che nessuna storia
era al sicuro nel sonno.



***

Quella volta Louis
si chiese perché
i poeti quando dicono,
muoio per te,
non muoiono mai per lei.

Dopo giorni di indagini
Louis arrivò a capire
che il verbo morire
non equivale alla morte.


***

Non è possibile non è possibile
mi disse Louis – non è possibile
e io non sapevo cosa
volesse dire Louis.
Non è possibile
anziché una lettera d’amore
io scriva questo.
Louis mi fece leggere quello che
in napoletano lei mai
avrebbe compreso.

Chisto è ’o messaggio
te penzo te cerco te chiammo
nun te trovo
e tte penzo e tte e tte
dint’ ô vvacante d’ ’o verbo
’nfunno â vocia ca nun torna
’a n’eco ca tu
voce nun cchiù.

Questo il messaggio
ti penso
mi manchi, Ti.
Nel vuoto del verbo
sprofondato in eco
che tu voce non più.



***

Louis lesse
l’equazione di Dirac.
Si informò su Dirac.
Louis venne a sapere
che Dirac aveva letto Delitto e castigo
scoprendo che in un capitolo
Dostoevskij fece sorgere
nello stesso giorno due volte il sole.

A Louis poi gli parlarono
dei neuroni specchio. Così
Louis si convinse
di poter amare pure senza Dio.



***

Louis non si innamorava
mai per opportunità interiore.
Difficile da spiegare
– mi disse Louis.
L’unica volta che lo feci
– continuò Louis
scrissi una poesia
risultata tragica.

Guardà ll’uocchie tuje e mmurí
o murí a tte ’uardà dint’ ’a ll’uocchie
i’ ca nun tenco ’o ggenio ’e murí
si ancora nu’ ssaccio ’o mmurí

ca mme piglia e mme porta
a ttutt’ ’e pizze addó i’
nun ce saccio propio jí

e addó te vulesse
cu ’o vattecore ca nun passa
ma resta e ogne vvota more
dint’ ô silenzio d’ ’a salimma.

Guardare i tuoi occhi e morire
o morire a guardarti negli occhi
io che non ho voglia di morire
se ancora non conosco il morire
che invade l’ovunque
in cui ti vorrei e sei
l’ansia della saliva
morta ogni volta all’attesa.

Luigi D'Alessio, "Louis", RPlibri.


domenica 14 gennaio 2018

La "semplicità dell'immenso" negli haiku di Paola Venezia

La grandiosità della Poesia è che essa, sovente, può manifestarsi sotto varie forme. Naturalmente, ciò può essere vero se si estende il concetto di "poesia" al di là degli schemi e dei canoni che abitualmente le attribuiamo. Così "poesia" può essere un fiore bellissimo e profumato, meraviglia della natura che ispira delicatezza, bontà, luce e colori. Ma tornando alla "poesia" scritta, quella che di solito trattiamo e conosciamo, troviamo spesso delle modalità espressive un po' diverse, che si allontanano alquanto dal noto schema dei versi che si susseguono l'uno dopo l'altro, con un ritmo, una musicalità e una struttura propria. Parliamo degli "Haiku", una breve forma di componimento poetico, nata in Giappone più di tre secoli fa, che si configura in una successione di tre brevi versi.
Fatta questa premessa, necessaria per introdurre Paola Venezia e i suoi haiku che compongono il libro "L'immenso è semplice", per le Edizioni RPlibri, possiamo inoltrarci con qualche ulteriore dettaglio nel bellissimo e originale mondo poetico, anzi degli haiku, della nostra autrice.
La prima impressione che si prova leggendo il libro è la delicatezza delle espressioni, il loro colorito e la loro capacità di "spiazzare" il lettore giusto al terzo verso conclusivo: l'ultimo verso è infatti sempre, in qualche modo, comprensivo, riassuntivo, esplicativo di una situazione o di un concetto, una proposizione sulla natura, sul mondo, sull'esistenza, sull'amore. "Fiori di lavanda / tra antiche rovine / un po’ di vento": quel poco di vento che avvolge la scena per intero, la completa e crea l'immagine dei fiori tra le antiche rovine, ne riproduce persino il profumo…"Scrivo leggera / di pensieri rondine / oplà": ecco il "salto" conclusivo, onomatopeicamente indicato con "oplà", di una tensione verso la libertà, di un'apertura verso la leggerezza del tutto.
E leggeri sono gli haiku di Paola Venezia, preziose gemme di sapere, filosofie minime ma non minimaliste, anzi, sintesi coraggiose di pensieri sopraffini, delicati e ricchi di una vitalità e di una icasticità notevoli.
L'universo immenso è uno stato complesso, ma lo stesso immenso è "semplice" negli haiku di Paola, nel senso che, grazie a loro, questa immensità si rivela, si manifesta, nella sua soavità, nel suo amore, nella sua naturale e genuina verità, fondamento e fine di ogni cosa.
Riportiamo ora qui di seguito solo alcuni haiku, per offrire ai lettori qualche altro spunto di riflessione, invitando però tutti gli amici che ci seguono a procurarsi in libreria questa bellissima pubblicazione della RPlibri.



oggi il sole
annaffia i sorrisi
è giardiniere


l’attimo in cui
sboccia una poesia
è colpo di vento


nessun dove
è fertile di luce
quanto il silenzio


collo di cigno
punto di domanda
tra terra e cielo


nel mio giardino
luna hai partorito
meraviglia



Testi tratti dal libro "L'immenso è semplice", di Paola Venezia, RPlibri, 2017

mercoledì 10 gennaio 2018

Le radici siciliane di Gaetano Capuano

Ho avuto il piacere di incontrare nuovamente, dopo tanti anni, l'amico poeta Gaetano Capuano a Milano, lo scorso mese di novembre, e ciò è stato motivo per me, come penso anche per lui, di rivivere emozioni forti, vibranti, pensando al nostro comune sentire la poesia come fiamma originale e alimentatrice di sensazioni e di comportamenti che vanno ben oltre il quieto vivere quotidiano, inteso come superficiale e ovvio trascorrere del tempo su questa terra. Ed è una terra ruvida e sanguigna, quella di Gaetano Capuano, ma anche ricca di fermenti, con radici e valori inestinguibili. Parlo della Sicilia, mondo d'origine di Gaetano Capuano e di tanti altri Poeti e letterati illustri che hanno narrato con convinzione e passione le storie, i luoghi, i modi, gli usi e la civiltà di questa terra particolarissima.
Gaetano Capuano è infatti nato ad Agira, in provincia di Enna, per poi trasferirsi a Milano; attualmente vive e lavora a Varese. È un grande esperto e conoscitore della lingua siciliana, tant'è che la sua produzione poetica, vastissima, è essenzialmente in siciliano. La sua è una poesia intensa, corposa, dove risalta tutta la vitalità emotiva e colorita della realtà, non solo memoriale, ma anche attuale, contingente. Egli infatti narra tanto dei suoi trascorsi siciliani ("A putìa" – La bottega), quanto della sua nuova situazione ("Milanisarî" – Milaneserìe). Il suo verso è comunque ben costruito, melodico e gradevole. C'è denuncia, c'è storia, c'è nostalgia; e c'è molta passione.
Gaetano Capuano fa parte di un mondo, di una famiglia di poeti, letterati e critici di prim'ordine, i quali hanno espresso stima ed elogi nei suoi confronti: da Paola Messina a Salvatore Di Marco, da Corrado Di Pietro a Tommaso Romano, da Lina Riccobene a Lucio Zinna, da Flora Restivo a Marco Scalabrino (https://circololetterarioanastasiano.blogspot.it/2010/04/la-casa-viola-un-nuovo-libro-di-marco.html) a Senzio Mazza, per citarne solo qualcuno, e tra questi anche Franco Loi.
Riportiamo qui di seguito due testi poetici di Gaetano Capuano, il primo tratto dal libro "A putìa", il secondo da "Milanisarî", invitando i nostri lettori ad approfondire le tematiche e il dettato poetico del nostro amico Gaetano Capuano, al quale vanno i miei personali ringraziamenti per avermi dato l'opportunità di calarmi nuovamente in questo mondo espressivo davvero prezioso, ricco di storia, di sentimenti, di verità e di colori.


Prima scola di un mastru di saluni
nsapunata di varva pô àrzuni
'n-carusu smaliziatu ma sinsatu
'n-camici cilesti sta alliddaratu

Nto'n vanchitieddu tisu a malapena
'na sarvietta ncuddurìa cu lena
ô cuoddu di un viecchiu câ facci stanca
incurniciannulu di scuma bianca

Avanti e n'arriè, supra e suttu u mussu
mpastizzannu a chiù nun puozzu cu lussu
ammanza u rascusu di un pilu russu

Di don Fulì ora staiu a riùrdari:
"Cu' bon' 'nsapunata sa spunziddari
menza varva ci resta di tagghiari"

Prima lezione di un mastro di salone / insaponata di barba per il garzone / un ragazzo smaliziato ma sensato / in camice celeste sta agghindato. // Su un banchetto eretto a malapena / una salvietta avvolge con lena / al collo di un vecchio con la faccia stanca / incorniciandolo di schiuma bianca. // Avanti e indietro, sopra e sotto il muso / impiastricciando a più non posso con lusso / mansueta il ruvido di un pelo rosso. // Di don Fulì ora sto a ricordare: / "Chi buona insaponata sa spennellare / mezza barba gli resta da rasare".

(Da: "A putìa", pag. 12).


Milanisarî

'Ssu titulu mû dèsi a usufruttu
a cu' didicai stu libru
e quagghiati dintra
i palori avissiru a figghiari
canzuna stracanciatizzi, bastardi
Ma chi nicchinacchi!
Siddu nun ci si adduta
di spaddi larghi
pilu nta vucca, panza
e milli, milli pitazza
pi cuntiniri 'a licenza
di un giargianès – o tirruni –
a nuddu futti cuòmu su'…
Gnirrusi c'è cu' pensa e stramacina
ca livoti patiènnu â stranìa
u scuncièrtu sbummica
minchiati di malancuni
Macari… e nun sulu…
Pi cunnuòrtu o pi suppuntu
binidica sacciu
ca d'oggiall'annu a ogni annu
pi assupparimi di caluri
culura e midemma battarìa
scinnu a Agira…
e nchiuiuti nâ menti
'n facci a un muru vacanti
i spicchiulìu a malapena…
autru ca milanisarî!


Milaneserìe – Questo titolo me lo diede ad usufrutto / colui al quale dedicai questo libro / e cagliate dentro / le parole dovrebbero figliare / canzoni trasformate, bastarde. / Ma perché mai! // Se non ci si dota / di spalle larghe / pelo su bocca, pancia / e mille, mille quaderni / per contenere la licenza / di un giargianès – o terrone – / a nessuno importa come son… // Pretenziosi c'è chi pensa e rimugina / che alle volte patendo in terra estranea / lo sconcerto emana / spropositi di malinconie. // Anche… e non solo… // Per conforto o per sostegno / benedica so / che da oggi all'anno a ogni anno / per inzupparmi di calore / colori e anche rumore / scendo ad Agira… / e rinchiusi nella mente / davanti a un muro vacante / li rispecchio a malapena… / altro che milaneserìe!

(Da "Milanisarî", pag. 11)


Nota
Le presenti brevi riflessioni sulla poesia di Gatano Capuano sono scaturite dalla lettura dei seguenti testi:

- "A putìa", Rosalia Editions, Adrara San Rocco (Bg), 2010; prefazione di Giuseppe Cavarra.

- "Milanisarî", Rosalia Editions, 2016; prefazione di Nicola Gardini


Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà