mercoledì 26 dicembre 2018

Il "Plasmodio" di Antonio Vanni


Plasmodio è il titolo di una raccolta di poesie, l'ultima in ordine di tempo, di Antonio Vanni, impegnato autore iserniano e noto per la sua attività letteraria non soltanto nella sua città e nella sua regione, ma anche in ambito nazionale. Ebbi il piacere di conoscerlo in occasione di un premio letterario che si svolse a Sant'Elia Fiumerapido, alcuni anni fa, e da allora i nostri incontri sono abbastanza frequenti, anche perché manteniamo entrambi rapporti costanti con realtà letterarie della zona, tra cui i vari eventi organizzati dal compianto Amerigo Iannacone, di Venafro, solerte promotore culturale, nonché poeta, giornalista e direttore della nota rivista letteraria "Il Foglio" (ereditata ora da Giuseppe Napolitano che già gli collaborava da tempo).
Plasmodio vede la luce dopo numerose pubblicazioni di testi poetici; la raccolta, infatti, è recente, del 2017, per le Edizioni EVA di Venafro. Titolo veramente singolare ed emblematico, che prende spunto dal fenomeno biologico della divisione delle cellule a partire da un solo esemplare. Applicato al mondo poetico di Antonio Vanni, in questo suo libro, il concetto della divisione cellulare può aderire benissimo all'idea dell'autore di sviluppare una catena poetica continua, a partire da un testo originale, primario: come il nucleo della cellula, contenente il DNA programmatico, si apre suddividendosi in altre cellule dello stesso tipo, così la poesia di Antonio Vanni si espande nel libro, dando vita a testi poetici autonomi ma sempre legati all'idea originale: Plasmodio. Ma qual è poi questa idea originale?
In effetti il nostro autore parte da una situazione primaria in cui il Mondo si anima e assume identità propria, e il soggetto nel tema delle varie poesie, è spostato dall'uomo al Mondo: è questo, infatti, e non l'uomo, a "guardare", "sentire", "sperare", "provare sentimenti"; è il Mondo, impersonato di volta in volta dalla natura, dal cielo, da un animale, a vivere le vicende e le storie, le sofferenze e le bellezze, il mistero. "Che occhi grandi che hai / fragile Mondo, / con essi osservi tutto ciò / che è profondo". Con questo "rovesciamento" del punto di vista, Antonio Vanni "fa parlare" direttamente le cose e le anima, sviluppando via via la sua teoria nei vari componimenti, i quali alla fine rappresentano un organismo unico e macroscopico: ecco dunque il Plasmodio!
Come poi afferma Giuseppe Napolitano nella sua puntuale prefazione al libro, il lavoro di Antonio vanni si presenta compatto, denso, proprio come un nucleo cellulare pronto a generare altri elementi, identici per carattere ma non per contenuto: insomma, quella di Antonio Vanni è una poesia che ha una potenzialità intrinseca molto alta, e cioè quella di dar vita a successive considerazioni e riflessioni, abbracciando temi usuali, come storie di persone, amici, familiari, ma anche argomentando di cieli, mari, confini, nature: il tutto con una certa dose di simbolismo, che non guasta, ma rende la sua poetica alquanto mistica e trascendente, in molti casi.
Ma, come sempre, lasciamo ai nostri amici lettori che ci seguono il compito di aggiungere altre gradite riflessioni in proposito, se lo vorranno. Abbiamo quindi tratto dal libro alcuni testi, che volentieri sottoponiamo alla loro attenzione.




Plasmodio

Il lago e il mare.
Che occhi grandi che hai
fragile Mondo,
con essi osservi tutto ciò
che è profondo.

- Oh mare, odimi, ch'io ti sto parlando.
Vorrei saper bruciare
da osservare il mio scheletro
incastonato nel paesaggio
come silenzio tra le voci degli innamorati
mentre si baciano.

- Dolce lago che in lacrime torni,
mai nessun fuoco o pallidi trapezi, le ossa,
sapranno di noi le piogge parole.
Lancia le tue braccia a trafiggermi il cuore
così da specchiare, per sempre, la tracciante cometa
che ride, ed il piccolo sole che acceca.


***

Il cremolare

Ti offro un viso in plastica,
attonito,
perché la bellezza del mattino
è nei ruscelli innevati.
Il cervo colpito al cuore
si è nascosto, dignità e paura,
annusa gli ultimi minuti di un fiore,
lo riscalda, è nato per questo,
per la bellezza del mattino
e i fiori innevati.
Al cacciatore dico che è lontano il suo amore,
dietro quel colle leggero e dorato
pare l'ho visto cadere
l'aquilone tra i ginepri.
Ai cani però fra un po'
non saprò mentire,
stracceranno con rabbia Dorian Gray
e il suo pianto, le bacche vuote sanguinanti
tra i rami, la gelida clessidra che mi abbraccia
perché la sabbia non ha famiglia ed orme
per assestarsi,
non conosce quanto tempo è un addio.
Allora porto via il tuo cuore nel mio
perché la bellezza del mattino
è dignità e dolore.


***

La fragola e il moscerino

Il moscerino scalatore
nel plasma dal gusto fragola
è corteggiato.
Il fanciullo, officina dell'amore,
apertura celestiale, alita sul
cristallo, e ne fraziona
gli organi vitali, oltraggiato
puntino che si addormenta
in vetta, da poco composta la cuccia.
Ne raggiunge le profondità,
il silenzio delle ali.
- Un cono di gelato, per favore,
un trono di limone
e cioccolato.
Niente malinconia, per favore.
Non mi appartiene.
- Quanti sorrisi
per un soldino dimenticato.
Ma come
sei triste
piccolo bacio
caduto da una stella.
Corro ai tuoi occhi
ma già ti ho perduto.
Avrei dovuto esserci prima,
e solo per te.


***

Luciano

Il sepolcro di Luciano è un ruscello di ortensie.
La sua mamma, ogni giorno,
dalla poca assenza del dolore
fa sbocciare un fiore, che adagia accanto
al suo bellissimo sguardo in bianco e nero.
Forse perché non vuole lasciarlo cadere
da solo nell'acqua, ma insieme ad un fiore
sì. E' obbligata a lasciarlo andare via
ogni mattina. Ma fino al tramonto,
poi torna e sorride.


***

La fontana e la luna

Mi rendi possibile l'immobilità
in questo luogo,
amore riflesso amore profondo,
e son felice d'attendere il giorno
poiché io chiamo chi disseto
e ne raccolgo gli sguardi,
vicinissimi gli occhi e l'oleandro.


***

Storia di Edwin
(a David)

Edwin, re di Deira,
la falce contro la quercia. Deve poter passare.
C'è un bambino nato di fango che l'abita di notte,
la quercia, così chiara alle stelle.

- Non farmi cadere, Edwin, non toccare l'albero.

Edwin, re di Deira,
alzò lo sguardo verso l'alto,
così chiaro alle stelle il dolce viso tra i rami.

- Forse posso passare di fianco alla quercia,
bambino impertinente,
sì, forse posso farlo.
Ma tu, essere di fango,
cosa saprai di me se ti passo accanto?
Sei privo degli occhi e ti ostini a fissare il cielo.

- Non farmi cadere, Edwin, non toccare l'albero.

Così chiaro alle stelle fu il dolce pianto.


***

Lingua volgare la pianura

Dall'abisso dove t'incatena il sonno
Teodicea, lingua volgare la pianura.
Plani sulla nave di Teseo
alla secca, circondata da alti lampioni.
Dei mercanti d'aquile separano le dune
e ti segnalano quei visi d'angeli corrotti
dal compleanno delle strade inglesi,
il villaggio che vive raccolto
nella cupidigia
e il sole seminudo.
Il vecchio pescatore seduto,
le perle perdute negli spazi.


Antonio Vanni, Plasmodio, Edizioni EVA, Venafro (Is), 2017; prefazione di Giuseppe Napolitano; Collana "La Stanza del Poeta", diretta da Giuseppe Napolitano

Antonio Vanni è nato a Isernia nel 1965. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni di poesia.


sabato 6 ottobre 2018

Le "Poesie dell'immaturità" di Luca Di Bartolomeo


"Poesie dell'immaturità" è il titolo della prima raccolta del giovane poeta cilentano Luca Di Bartolomeo, del quale proponiamo qui di seguito alcuni suoi testi tratti dal libro.
La laurea in Medicina e Chirurgia ottenuta brillantemente non gli ha impedito, nel contempo, di dedicarsi non solo ad una intensa attività di divulgazione scientifica, ma anche alla frequentazione del mondo letterario e in particolare della poesia, con ottimi risultati se si considerano i numerosi e importanti premi ottenuti.
Direi con coraggio, l'autore racconta il proprio excursus familiare e sociale, la propria esperienza di vita adolescenziale e giovanile, ma lo fa con consapevolezza e armonia poetica, rendendo in tal modo le "poesie dell'immaturità" pregne, invece, di un'alta consistenza lirica: poesie dell'età immatura ma scritte con la maturità e la determinazione di un poeta già avviato.
Sono quadri recuperati dall'età giovanile, osservati dallo stesso autore da una prospettiva ora adulta, non priva però di una certa nostalgia. La natura è il principale sottofondo del suo dettato poetico, un mondo genuino fatto di alberi di ciliegio, di panorami, di stagioni.
Il verso è generalmente diretto, asciutto, sicuro.
Invitiamo i lettori che ci seguono, a esprimere un loro gradito ulteriore commento sui testi che qui di seguito riportiamo.




I ricordi

Lucciole nella mente
seguono il filo
di un gomitolo di cocci.

Sull'orlo di una pozza
ma sempre lì, attenti,
a non bagnarsi i piesi.

Attenti a rispondere
all'appello, anche quando
il registro
è caduto nell'oblio.

E' inutile cercare
di sguinzagliarli:
i ricordi sono cani fedeli.


***

Un giorno mi ha morso la vita

Un giorno mi ha morso la vita,
per il terrore ho corso a perdifiato.
Era una tarantola dall'istinto
predatore e dal sogno logorato.

Mentre mi appendevo allo stelo
di quel mio tempo ancora in fasce
in quel corpo troppo minuto
stava già sbocciando il cielo.


***

Incanto

Scricchiola il tempo
in questa anticamera del futuro,
si spezza anche il vento
urtando questo muro.

E' un rebus, è un gioco
pericoloso, e io la colsi
come fossi un croco;
ma mi incatenò i polsi

con manette di paglia
e mi condusse in una boscaglia
a contar le illusioni,
ruggendo ai leoni.

La sua frusta era la dolcezza,
gli incubi custodi
di un mondo socchiuso
da una porta targata "Giovinezza".

*** 

Scirocco

Si schianta
contro l'abitudine dell'inverno
questo alito di drago;
il solco della strada
lo accoglie intimorito,
mentre si incanala nel suo ventre
con la ferocia di un amante.

Giace
come un pugile nell'angolo
con le braccia a terra,
il vicolo deserto.


***

Autunno

Goccia a goccia
versi il tuo corpo nei miei occhi,
con l'arte di un oste.
E ti assaggio, come s'assapora
il vento freddo che stringe pericolosamente
la gola. Come una lama,
come un abbraccio.

Siamo due fiaccole
in attesa d'un soffio.
Qual è
il tuo nome?

Al bar mi hanno detto di chiamarti
Autunno;
e non c'è differenza
tra te e l'abbandono,
se non nelle foglie.


***

Siamo rimasti muti.

Uno a uno hanno impiccato i nostri alberi,
quelli dell'infanzia scolpita
negli sguardi senza dubbi,
di noi accovacciati sotto la protezione
materna delle chiome
a guardare l'aurora dondolare
sul filo d'uno stendi panni.
Siamo rimasti muti.
Stretti nella folla ci bastò uno sguardo
per essere lontanissimi.
Con gli occhi chiusi,
mentre rattoppavano i torti
con le nostre bandiere,
finalmente eravamo grandi, così maturi
da cadere dal ramo.
Siamo rimasti muti.
Ci hanno dato da bere
le nostre cicatrici:
ognuno col suo bicchiere e la mano di cemento
sul bancone sporco di noccioline e di ricordi
a lasciarsi versare
da due osti ubriachi
ancora un sorso di dolore.


***

Non interessava a nessuno di noi

Non interessva a nessuno di noi
passare per saggio
lungo il sentiero spezzato
da incroci
quale dei fiori spezzare per
primo?

Il frinire dei manifesti
buono a scaldarsi una sera di freddo
sotto il ciliegio dalle braccia stanche.
Il passo del mondo
ticchettava sul muro su cui
scrivevamo
il nome sbagliato delle cose.


Testi tratti da "Poesie dell'immaturità", di Luca Di Bartolomeo, Gianni Petrizzo Editore, marzo 2018; prefazione di Giuseppe Brenga.

Luca Di Bartolomeo è nato ad Agropoli (Salerno) nel 1992. E' laureato in Medicina e Chirurgia. Giornalista pubblicista, ha collaborato con diversi quotidiani. Dal 2014 conduce, per l'emittente televisiva Cilento Channel, il programma di divulgazione medica "Panacea".
Ha ricevuto il primo premio in numerose competizioni letterarie nazionali e internazionali. Fa parte della Giuria del Premio Laurentum per la poesia.
"Poesie dell'immaturità" è la sua prima raccolta edita.

lunedì 24 settembre 2018

Chiara Franchitti e le sue "Tracce d'eternità"


"Tracce d'eternità", Edizioni Eva, è la prima raccolta poetica di Chiara Franchitti, una giovane poetessa molisana che però ha già all'attivo diverse collaborazioni con testate giornalistiche locali, saggi storici e pubblicazioni interessanti nel campo religioso. Un'attività poliedrica che la coinvolge totalmente e la rende partecipe e protagonista in molti eventi culturali del molisano e non solo, basti pensare all'intensa collaborazione con il compianto Amerigo Iannacone, giornalista e poeta assai noto, nonché sostenitore dell'esperanto, di cui egli, come anche la nostra Chiara, fu prodigo e insigne studioso e divulgatore.
Ma tornando alla poesia di Chiara, elemento di vita e di studio irrinunciabili per la nostra autrice, notiamo la sua intensa ispirazione religiosa, di un religioso però che, come afferma anche Amerigo Iannacone nella prefazione del libro, non travalica l'aspetto strettamente canonico e dottrinale, bensì si lascia andare ad autentici slanci pervasi di bontà e di amore, nel senso più generale del termine, non rinunciando neanche a qualche lieve e delicato riferimento all'amore fisico, evidente nelle poesie rivolte al suo fidanzato (ci sono, nel libro, degli acrostici molto belli che si riferiscono proprio a lui).
Una poesia delicata, dunque, priva di sovrastrutture inutili e quindi diretta, ma profonda e sincera nel suo dettato.
Iniziamo con Chiara Franchitti una nuova rubrica di "Transiti Poetici", intitolata "Proposte in transito", proprio con l'intento di far conoscere al pubblico che ci segue, nuove voci poetiche, ma comunque interessanti e dotate di una impronta sicura e costante.
Da "Tracce d'eternità" abbiamo estrapolato alcune poesie, che riportiamo qui di seguito, aspettandoci dai lettori che ci seguono un loro contributo con eventuali commenti o riflessioni in merito.



Grazia malinconica

Veste di luce
l’uomo del mio tempo
antiche illusioni
che placano il momento.

Ma oltre la coltre
di paglia che arde
tutto è relativo.

Come in uniforme
cala nell’istante,
fermo adesso e qui,
spinge luce eterna.

Piccolo in un nido
desto l’uomo nuovo
tiene il fuoco acceso
e, dove trova un varco,
s’innesta la potenza.

31 dicembre 2013


Vieni!

Spegni il caos della mia mente,
fatti strada tra i pensieri,
scaglia, getta, butta giú tutte le porte,
irrompi dentro me, riempimi di te.

Grida, urla a squarciagola,
fissati davanti al mio sguardo.
Ti prego, insisti,
ho sete di te.

Vieni, vieni,
io ti aspetto.
E se già sei accanto a me
ti supplico, accendimi la luce.

dicembre 2006


Alla presenza di una corporeità trasfigurata

Io in te, tu in me
nel godimento di presenza,
nell’anticipazione di pienezza,
nell’uragano della passione.
I corpi si fondono,
i miei pensieri si annullano nei tuoi,
mi sazi di “altro”.
Sei tutto in tutto.
Mia gioia, mia speranza, mia vita.

3 aprile 2015


Come una corda di violino

Ti assale la tensione
quando al senso di vuoto
si aggiunge la paura di sbagliare
ed è sempre piú impellente
quel bisogno di Riposo
a cui non puoi tu sopperire...

E in assenza di Riposo
ti accontenti di dormire, dormire, dormire.
E ti senti come l’aria
tra il cannellino e lo stantuffo
di una siringa quando
lo stantuffo viene spinto verso il basso.

E ti manca il respiro
e il panico ti assale
sembra tutto degenerare
e continui il viaggio stanco,
smarrito nella corsa
contro il tempo,
inseguendo una meta:
il ristoro dell’anima.

estate 2007


Cosa resta?

Dall’oggi al domani
tutto può cambiare.
Un’antica abitudine,
una quotidianità consolidata,
un equilibrio raggiunto.
Un giorno una notizia
sconvolge i progetti,
spiazza le aspettative,
stona l’armonia.
Era da mettere in conto,
ma fin quando non accade
si evita il pensiero,
non si è mai pronti,
si resta aggrappati al presente
che poi è il quasi passato.
Ma alla luce dei fatti
bisogna prendere atto,
il sogno è finito.
È stato un sogno meraviglioso,
ma è ora di svegliarsi.
Cosa resta?
Insieme a inevitabili lacrime,
ricordi magnifici
e relazioni eterne
che mai nessuno potrà
cancellare.

19 settembre 2016


Riportiamo anche una poesia che Amerigo Iannacone ha dedicato alla nostra Autrice (interessante la composizione del libro, al termine del quale Chiara ha voluto includere tre testi a lei dedicati, di altrettanti autori)



Coltivare la speranza

A Chiara

Non è facile, Chiara,
guardare al futuro fiduciosi
non è facile coltivare la speranza
in un mondo che bara.
Ma tu mi dai una lezione
quando parli di una selezione
positiva da fare
dimenticando il male.
Tu hai parole che infondono coraggio
e fiducia nel viaggio esistenziale
anche se bene o male
con passo malfermo
cedevole e passivo ci avviamo
alla dirittura di arrivo.

8 febbraio 2017, 23.05

AMERIGO IANNACONE

Questi testi sono stati tratti dal libro "Tracce d'eternità", di Chiara Franchitti, Edizioni EVA, 2017, Collana di Poesia contemporanea L'Albatro, diretta da Amerigo Iannacone. Prefazione di Amerigo Iannacone. Postfazione di Adriano Tollo.

Chiara Franchitti è nata nel 1989 a Isernia. Vive a Santa Maria Oliveto (IS). Ha conseguito la Laurea magistrale in Lettere Classiche presso l’Università degli Studi di Cassino con una tesi in Storia della Filosofia sul “già e non ancora”. Nel 2016 si è laureata in Scienze Religiose (triennale) presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Roberto Bellarmino” di Capua con una tesi in Storia della Chiesa locale sulla storia della Caritas e del Consultorio Familiare nella Diocesi Isernia-Venafro. Attualmente è studentessa del quinto anno di Teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale sezione “San Luigi” di Napoli.
Ha partecipato a numerosi Premi Letterari sin dagli anni della Scuola Primaria conseguendo vari riconoscimenti. È autrice di testi in prosa e in versi.
È direttrice, insieme a Carmen Buono, della Collana “Il nastro e la penna di una voce” per le Edizioni Eva.
Scrive periodicamente sulla rivista Molisinsieme e sui quotidiani Primo Piano Molise e Quotidiano del Molise. È fautrice del movimento esperantista.


sabato 1 settembre 2018

"L'arte della fede", di Antonio Di Nola


Nelle parole / il sangue dell'anima, / il filo ricurvo / del pensiero, / la verità senza fatti. / Nelle parole / l'essere.
Con questi versi ha inizio il percorso poetico di Antonio Di Nola, in un libro recentissimo dal titolo "L'arte della fede". Mi piace partire da questi versi per esprimere qualche breve riflessione sulla raccolta, cercando di interpretare l'intento poetico dell'autore. Il quale Autore, professore ordinario di Logica Matematica e Direttore del Dipartimento di Matematica dell'Università degli Studi di Salerno, non è certamente al suo esordio poetico, avendo già pubblicato i testi Monos (Oédipus, 2014) e "Lettere dal purgatorio" (Oédipus, 2016).
E' evidente la grande importanza che Antonio Di Nola attribuisce alla parola poetica, riscontrando in essa il sofferto tentativo di esporre in un modo stilisticamente adeguato, il proprio groviglio interiore, le proprie sensazioni (il sangue dell'anima), la propria verità o risposta che dir si voglia, nei riguardi del mondo e dell'esistenza umana. Tutto ciò, forse, sembrerebbe contrastare con la formazione professionale e l'attività quotidiana del nostro Autore, impegnato come sappiamo in ben altre materie e argomenti che di allusivo, di metaforico, di simbolico come la poesia in genere, nulla hanno a che fare! Ma invero ognuno di noi possiede una capacità creativa innata, una attitudine a estrapolare dalla realtà le proiezioni di possibili mondi "sperati" o "paralleli", di sogni e di progetti che si possono costruire e realizzare con il proprio talento creativo e artistico: mete da raggiungere utilizzando totalmente il cuore, l'input illuminante, la mente, le mani; e così capita che anche un valente professore di matematica possa eccellere nella realizzazione di progetti poetici e letterari di spessore.
Abbiamo già accennato alle sue precedenti pubblicazioni di testi poetici, ma qui ci soffermeremo brevemente su questo recente "L'arte della fede", una raccolta omogenea di versi tutti inerenti ad una ricerca profonda di un senso umano dell'esistenza, prendendo spunto anche dal lato spirituale e religioso (più che altro storico-religioso).
Il titolo, come sovente accade, è significativo e racchiude in sé, riassumendolo, l'intero progetto poetico dell'autore in questa raccolta: "L'arte della fede". La fede è dunque un'arte, è anche un'arte? Credo che si possa in qualche modo interpretare il pensiero poetico dell'autore, immaginando un mondo trascendentale, che ha comunque radici nel tessuto dell'umanità, da raggiungere attraverso processi di rielaborazione religiosa, rifacendosi alla fede cristiana. Le poesie di Antonio Di Nola, in questa raccolta, sono infatti generalmente aderenti, se vogliamo ispirate, alla realtà storica della religione cristiana, ma l'aspetto più importante è che il Di Nola traendo spunto (o, come dicevo prima, ispirazione) da questa, traduce e concretizza in versi la sua ricerca interiore, il suo profondo interrogarsi sul senso religioso e spirituale di se stesso e dell'uomo in generale. Ecco dunque che la "fede è un'arte", nel senso che tale ricerca, tali interrogativi, possono benissimo esplicitarsi mediante la poesia: l'arte della parola (e qui ritorniamo ai versi d'esergo della raccolta: "nelle parole il sangue dell'anima", eccetera…).
Una poesia interrogante, dunque, pregna di quel desiderio di conoscenza trascendentale che il mondo odierno, con la sua materialità, egoismo e superficialità, sovente non permette di perfezionare né di realizzare, ma che soltanto con l'arte, e quindi anche con la poesia, è possibile esplicitare, manifestare. Dubbi, incertezze, smarrimenti, scoramenti, ma anche luci e speranze: questo, il mondo poetico de "L'arte della fede" di Antonio Di Nola, poeta consapevole del proprio ruolo nel mondo, sia quando esprime  la sua competenza professionale, sia quando esprime la sua competenza artistica e letteraria: un connubio che si integra e si amalgama in una persona che sa guardare anche al mistero e alla trascendenza, cercando nel cuore dell'uomo una verità e una luce di salvezza e di redenzione: con versi che fluiscono rapidi, incisivi, precisi anche nei rimandi storici e religiosi: una poesia che induce a riflettere, distogliendo il lettore dallo scontato e sovente banale  "sopravvivere" quotidiano.
Ma anche qui, per il nostro caro amico poeta Antonio Di Nola, saranno graditi eventuali ulteriori commenti da parte dei lettori che ci seguono. E per dare a tutti questa opportunità, come di consueto riportiamo alcuni testi poetici tratti dal suo libro.

Il sigillo della Poesia

Nelle parole
il sangue dell'anima,
il filo ricurvo
del pensiero,
la verità senza fatti.
Nelle parole
l'essere.

 ***

Monos

Un solo dattero
secco.
Una sola palma,
una sola ombra
sottile
di un solo muro
di fango.
Un solo deserto
di un solo dio.
Un solo purgatorio
di una sola anima.
Una sola vita,
di un solo uomo,
di fango.
Chiama, chiama
nel deserto
una sola voce,
eis eis monos.

 ***

L’origine

Dieci volte Adamo,
dieci volte Eva,
mille serpenti,
mi dovranno
poi spiegare
questa angoscia,
questa solitudine
di tutti,
fra tutti.

 ***

Il sangue della terra

Sono tormentato
dalla solitudine
incompleta
del mio spirito
e dal suo muto dialogo,
nutrito dal mistero.
Vorrei vivere là
dove il mondo è compiuto
e contemplare il sangue della terra,
che è fatto di mezze verità.

 ***

La fine

La fine
è gemere nella polvere
sotto i colpi del caso.

Per teorema
ne prendo coscienza.

Passo su passo lungo la vita
ne tento una prova
che plachi la mente.

Il martirio
è la fede nell'esistere.

 ***

L’arte della fede

Nel fragile dialogo dei sensi
con l’incongruo universo,
la fede scava un solco
tra la profezia e la rivelazione.

Nell’impossibile ricerca
dei segni dello spirito
nella carne del tempo
l’attesa stessa dello spirito
rende preziosa
l’arte della fede.

 ***

Damasco

A Damasco,
a Damasco vado.
A Damasco mi attende una voce,
a Damasco,
a Damasco vado.
A Damasco mi attende una luce.
A Damasco,
a Damasco, vado
e rinasco.

 ***

Ich habe genug

L'anima mia,
vascello in viaggio,
battuta dal mare del tempo
si muove come medusa.

Come fiori
siamo fatti di tempo.
Poi
si apriranno le porte della rivelazione.

Questo mi basta.

Antonio Di Nola, "L'arte della fede"



mercoledì 15 agosto 2018

Il "Kintsugi" poetico di Marisa Provenzano


Il lavoro di ricerca, soprattutto interiore, dei creativi, degli artisti e dei poeti, è quasi sempre rivolto a scoprire e a "scoprirsi" indagando quanto più possibile nella profondità del proprio essere: è da lì che partono i messaggi segreti, le percezioni, gli avvertimenti, i suggerimenti più intimi, elaborati non solo dal proprio sentire, ma anche in seguito all'osservazione attenta e sensibile del mondo esterno. La bontà della poesia, come anche la bontà di qualsiasi realizzazione artistica, dipende poi dall'uso intelligente della propria tecnica, del proprio stile, della propria esperienza di vita.
Ma è sempre originale e, sotto certi aspetti lodevole e meritorio, che molti (o forse solo alcuni) artisti e poeti, cerchino in qualche modo di mitigare le negatività e i dispiaceri, le sofferenze e i patimenti della vita quotidiana, dando ad essi una sorta di dignità, dopo aver provveduto, con l'arte e con la poesia appunto, a "riparararli", a renderli in qualche modo più accettabili rivestendoli con la luce della propria anima e del proprio cuore.
Da questo punto di vista, mi è sembrato davvero centrato il titolo della recente raccolta poetica di Marisa Provenzano, una poetessa di lunga militanza letteraria e solerte promotrice culturale non solo a Catanzaro, dove vive, ma anche a livello nazionale. Il titolo, singolare e rivelatore di un progetto poematico di ampio respiro, è dunque: "Kintsugi", sottotitolo (anch'esso esplicativo): "Per aspera ad astra". Non si scoraggi il lettore poco avvezzo a questi termini ed espressioni inusuali: ormai con un buon computer a portata di mano, è possibile scoprirne subito i significati: "kintsugi" è un'arte antica giapponese, utilizzata per riparare gli oggetti con apporto di lamine d'oro o d'argento; la saggezza di quell'antico popolo è tale che persino nelle più piccole cose e nelle minime attività quotidiane, come la riparazione di un oggetto, subentra la cura, l'amore per il dettaglio, il rispetto verso la natura, la cultura del bello e della precisione, non per un fine proprio a se stesso ma per inserire e inquadrare tutte le cose in un equilibrio e armonia universali.
Da qui la poesia di Marisa Provenzano, esplicitamente dichiarata dalla stessa autrice nella sua nota introduttiva: poesia che emerge dal cuore, dai ricordi, dalle memorie, dal mondo osservato, "depurata", "riparata" con la luce dorata della propria anima. Il progetto poetico della raccolta è poi accentuato anche dal sottotitolo: "Per aspera ad astra": si tratta come sappiamo di una citazione latina con la quale si incoraggia e si incita a raggiungere uno stato di grazia dopo aver preso coscienza delle avversità e dopo averle superate con determinazione e pazienza. E in effetti le poesie di Marisa Provenzano, lungo tutto il percorso del libro, suddiviso nelle due sezioni "Frantumi (di)versi" e "Versi (im)perfetti", richiamano certamente la famosa citazione, improntandosi anch'essi ad una sorta di "purificazione" attraverso le esperienze e i ricordi della vita vissuta, fino al raggiungimento di un equilibrio più o meno rassegnato, anzi direi maturato e consapevole.
Del resto, si sa, la poesia è canto di verità proprie, di sentimenti a lungo coltivati nel proprio intimo, elaborati e poi espressi alla luce del mondo: l'azione "riparatrice", il kintsugi che magistralmente utilizza la nostra Marisa Provenzano, denota una personalità colta e sensibile, che sa redimere e redimersi, attraverso una poesia sincera e matura, nostalgica in molti punti, ma di quella nostalgia che commuove e recupera valori antichi e fondamentali, come l'amore, la natura, il creato.
Come sempre in questa mia rubrica, i lettori attenti sono chiamati ad esprimere eventuali ulteriori commenti, e a loro sono particolarmente grato. Come grato sono, soprattutto, a Marisa Provenzano per avermi dato la bella opportunità di leggere questi suoi versi, davvero importanti e preziosi, per un migliore "ritrovamento" della nostra natura umana, ahimé, tanto deragliata e sfilacciata in questi tristi tempi di disamore e di egoismo!
Proponiamo qui di seguito alcuni testi tratti dal suo libro.




Il poeta

Il poeta aspetta
che tramonti il sole
e con lo sguardo
insegue le ore
sull'orologio stanco.
La morte non sorprenderà
il poeta
perché non sarà mai vinto
e in piedi,
con lo sguardo al sole,
ci lascerà l'alba rosata
dei suoi versi.

***

Ho un abito

Ho un abito cucito d'assenze e d'illusioni
ed è incompiuta questa mia natura strana
Cerco tra tra inariditi arbusti le carezze mancate,
m'aggrappo a briciole di sogni e polvere di ricordi
e attendo che l'alba mi disveli il nudo silenzio
che s'alza lieve con un raggio di sole,
mentre con occhi stupiti m'affido all'infinito
di un orizzonte che m'inganna e limita
Scrivo parole che rimangono sospese nel vento
e so che saranno solo versi confusi
che nessuno leggerà mai né conoscerà
Ho un abito cucito di malinconie e rimpianti
che cela nelle trame l'ordito di un domani
incerto e provvisorio come i miei giorni
Sorrido con labbra mute a chi m'incontra
e celo l'inverno del cuore sotto un raggio di luna
che complice m'ascolta nelle notti insonni.

***

Parole nude

Quando lo sguardo ha il limite dell'orizzonte
e la passione d'infinito divora l'anima
mi accorgo che il silenzio ha parole di miele
e la solitudine è l'abito della festa.

Mi lascio cullare dal ricordo del tempo
tra pagine ormai ingiallite e senza sogni
e tesso trine di stelle nel cobalto del cielo.

Tracima allora la poesia dagli argini del cuore
e senza più freni m'assale il delirio,
rimango frastornata dalle parole nude
e intesso canti che abbeverano il giorno.

***

Come un baco da seta

Mi domando se c'è un punto di non ritorno
quando all'incrocio del giorno sei sola
e cerchi appigli per tornare indietro
o forse solo un alibi per non andare avanti
Mi domando se il tempo è solo un'emozione
e se i ricordi sono esili fili d'intricate matasse
nelle quali t'avvolgi come baco da seta
Cerco una meta che non sia un traguardo
e mi domando dove sono arrivata
e se lo scopo è solo l'attesa di un domani
che alla fine delude e il futuro è oscuro disegno
M'assale la noia dei dubbi ambigui
e la certezza di non riuscire a guardare
i mille e inutili dettagli della realtà
e allora m'arrendo a vivere il tempo,
aspettando il tramonto per bearmi dell'alba.


***

L'ultimo rintocco

Negli abbracci del vento che profuma
di foglie d'autunno e di muschio,
all'ombra di ricordi bagnati di brina,
nell'ora del tramonto rosato
dimenticherò le spalle coperte d'anni
e i sogni che lenti sono andati alla deriva
Sarà nuovo il giorno e i passi lievi,
come i sussurri del silenzio
Quieta sarà la mia corsa e leggera
la carezza che ti sorprenderà nella stanza vuota,
saremo germogli di prati verdi,
immemori del dolore che ha segnato il volto,
storditi dal canto di rondini migranti
in cieli che non hanno nuvole
Inseguiremo ancora le ore sul quadrante
e sarà di gioia l'ultimo rintocco.

***

Mi stupisco

È negli attimi l'incredibile della Vita.
Ogni istante può sorprendere,
meravigliare il cuore
Non posso non stupirmi
per suggere fino in fondo
la linfa del tempo,
scoprire la magica alchimia
del buio, della luce e delle ombre
Mi stupisco
per rendere speciale ogni attimo.

(Testi tratti da "Kintsugi", di Marisa Provenzano, Leonida Edizioni, Reggio Calabria, 2018; nota critica di Maria Antonietta Scalzo. Silloge terza classificata nella I Edizione del Premio Letterario Internazionale  "Salvatore Piccoli").

Marisa Provenzano è nata a Catanzaro, dove vive. Laureata in Filosofia, ha insegnato nelle Scuole Superiori e si è da sempre dedicata alla Poesia, alla Letteratura e all'Arte.
Ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti in concorsi nazionali e internazionali, per la poesia e la narrativa.
Ha pubblicato diversi libri di poesie, tra i quali, recentemente, "Kintsugi", Leonida Edizioni, 2018, e molte sue liriche e alcuni racconti sono stati pubblicati su antologie e riviste di settore. Alcune sue poesie sono state tradotte in portoghese, in spagnolo e in inglese.
Ha recensito e presentato numerosi libri di poesia e narrativa, di autori e poeti italiani, presso Associazioni e Circoli Letterari. Organizza numerosi eventi culturali. È presente in numerosi siti, tra cui La recherche.



martedì 24 luglio 2018

Il mondo e le parole attraverso "la cruna" di Salvatore Contessini


"Se poi la grazia narrata nell'inferno /  schiude al terreno natura di pienezza / l'ispirazione alla ricerca / torna al passaggio per la cruna / e al ritrovo dell'artiglio. / Anche se il cielo è grigio / il giorno si concilia col sorriso." Sono questi i versi di chiusura della poesia che Salvatore Contessini, preparato poeta romano, pone, oculatamente, all'inizio della sua recente raccolta poetica, intitolata appunto "La cruna" ed edita per i tipi della nota e autorevole Casa Editrice milanese La Vita Felice. La cruna, dunque: un simbolo, una metafora di eccezionale valore morale, storico, cattolico, direi anche filosofico, perché ci riporta alla famosa parabola del Vangelo dove Gesù, rivolgendosi a un giovane ricco, affermava che era più facile per un cammello entrare nella cruna di un ago, che per un ricco entrare nel Paradiso. Questo ci riporta all'interrogativo che si pone il prefatore del libro, Piero Marelli: attraversare la cruna di un ago è difficile, ma non impossibile; in senso ideologico, almeno, certamente non fisico o materiale (o forse sì?... se vogliamo prendere in considerazione le moderne teorie quantistiche e giocare ad andare un po' più oltre con l'immaginazione creativa…).
Sta di fatto, comunque, che la "cruna" è un interessante e persino salutare esercizio filosofico e riflessivo, se vogliamo, e Salvatore Contessini, direi in piena illuminazione poetica, ha centrato e indovinato il suo dire, il suo progetto, raccogliendo i suoi versi sul tema che si è imposto, che gli è scaturito certamente dal cuore e dalle osservazioni interiori ed esteriori, e dando al tutto un titolo più che appropriato: la cruna.
Entrando in merito, ma soltanto superficialmente per motivi di spazio, giusto per offrire qualche spunto di riflessione a seguito della piacevole lettura dei testi, verrebbe da pensare che la "cruna", centro etimologico e del tutto simbolico utilizzato dal Contessini per addensare e conglomerare il suo percorso in versi attorno a questo concetto, sia in effetti un "passaggio" stretto, disagevole, sofferto, sacrificale ma necessario, indispensabile per "passare dall'altra parte", una volta epurate le parole e i concetti dal marasma e dalla confusione generalizzata e alienante del vivere quotidiano, del vivere nella e con la natura, nel pensare l'esistenza e il suo senso profondo, il suo significato: "L'intrico di pensieri / a cui hai votato l'esistenza / mostra potenza del silenzio, / la straneazione d'universo noto / che scorre fuori dal tuo mondo. / Poche parole riformano memoria / scorgo lo squarcio che dal petto insorge." (Al Creatore, pag. 15). Poche parole riformano memoria, afferma dunque Salvatore Contessini, e sono quelle che hanno "attraversato" la cruna, sono quelle che, liberate da tutte le sovrastrutture e le decadenze inquinanti, ri-fondano la dignità e il senso dell'esistenza, Ma la "cruna" è in sostanza anche un "crivello", un filtro vero e proprio, attraverso il quale, e per mezzo del quale, l'Autore riesce a recuperare la bontà della sostanza universale, in concetti, parole, fatti e umanità da redimere: "E poi c'è distacco, / riordino dei cassetti / con frammenti dissociati, / riapertura di quelli chiusi." (da "Eventi", pag. 80).
È dunque questa l'idea portante della raccolta, a mio modesto parere: il recupero della genuinità delle cose, della verità mai data per scontata, ma vagliata e ragionata sempre, prima con il cuore e poi con l'intelletto e con la ragione, ovemai attraverso la cruna, o tramite il setaccio, sia possibile l'operazione salvifica, per sé e per tutti, che restauri eventi, fatti, cose e persone, riportandoli al presente dopo il "passaggio" e illuminandoli di nuovi significati e di più ristrette, personali ed appropriate giustificazioni: l'obiettivo ultimo, come sempre, lì al confine delle parole, è la ricerca di un senso a questa esistenza, a questo tempo. La cruna, anche qui, è usata dal Contessini come lente d'ingrandimento per osservare meglio e più da vicino i fenomeni, le persone, il mondo, la propria anima.
Un linguaggio aperto, ricco di allusioni e di rimandi, di paragoni, e che sovente fa uso di termini tecnici, per meglio rendere l'idea dell'universalità di certi assunti, di certe idee che coinvolgono il poeta ma che benissimo ogni lettore potrà fare sue. Ed è proprio ai nostri amici lettori che lasciamo il compito di continuare, se lo vorranno, queste riflessioni sul recente lavoro poetico di Salvatore Contessini, "La cruna", offrendoci ulteriori graditi spunti di dialogo e commenti.

Riportiamo ora, qui di seguito, alcuni testi poetici tratti da "La cruna", di salvatore Contessini.


Recuperi


La misteriosa sparizione,
risolta in rotolare di tarocchi,
ha comportato rovistare assiduo
nelle località diverse
di urbanità lontane,
nella memoria assottigliata
di accadimenti inusuali
in coincidenze oracolari
tradotte in coro di messaggi.
Se poi la grazia narrata nell'inferno
schiude al terreno natura di pienezza
l'ispirazione alla ricerca
torna al passaggio per la cruna
e al ritrovo dell'artiglio.
Anche se il cielo è grigio
il giorno si concilia col sorriso.

 ***

Punctum

Sono nel dove ignoto
di un deserto
intorno un orizzonte
senza emergenze verticali.
Un centro occulto di sentenza
in un silenzio vuoto di vento
che cerca padiglioni per l'ascolto.
Il tempo di stagione terminale
volge alla fine, al cambio scena
lo segna luce che si allunga
e ombra che ritira egemonia.

 ***

Percezione

Così, in uno spazio
di bianco nuvolare, segni di cielo
e geometrie molecolari,
comprendo una fessura, simmetrica di piano,
sfumata nei richiami di favore astrale
a forma di simbolo carnale
sospesa a un'ara disposta al sacrificio.
Composizione in pietra dura,
fusa dal fuoco del mantello
in cerca di camino in cui eruttare.
Per anni fissa come icona,
guardiana del riposo orizzontale,
ne scopro finalmente un senso
xompiuto nello spazio verticale
a fantasia sbrigliata priva d'illustrazione.

 ***

Campo morfico

Sul palmo della mano
come una traccia
è incisa nella forma di destino
la narrazione che si porta in dote.
L'occulto imposto ascolta la prudenza
il dubbio nutre l'aria ferma di vento
non è la legge, ma dalla legge viene.
Questo pensiero tramandato
nutre l'informazione da tradurre
lungo la linea, in fila,
si erigono unici motivi.
Se invoco l'era saturnina
potrò cambiarne contenuto
e pattuire l'alterazione del formato.

 ***

Eterica

Ti ho cercata alla finestra,
poi al terrazzo,
ma era sbagliato il giorno,
il tempo era trascorso;
non poteva curvarsi fino all'indietro.
Niente dura niente, lo so
tutto ritorna come ciclo,
anche la fine.


Poetica di un ciclo

Gli angoli portatemi via e i sentieri,
il cuore segreto della notte
che soddisfa requisiti d'irreale mira,
il volo, il vuoto, gli spazi liberi dell'aria,
l'invisibile consistenza
attraversata da bracciate a nuoto,
le narrazioni predisposte ad affrontare
quello che avviene prima
che si consumi il giorno.
Lasciate pure lo sguardo imprigionato
le mura in pietra di cristalli
l'impercettibile superamento in sensi
il punto nullo ove converge il corpo
il sonno del riposo ora che dormo.

 ***

Responso

E il cartomante, all'angolo del dubbio,
lo assimili al profeta della sabbia
o le certezze che ricerchi nel sapere
le cogli nella volta del recinto astrale?

Non sento il tuo governo, quello del fato,
né prospettive di mestiere
soltanto labbra strette e cumuli di eccessi
l'opposizione della casa di Saturno
lo spostamento d'asse cantonale.

Duole la spina che Girolamo rimuove
come lo stilo senza filo lasciato in dono.
Devozione o tradimento, dimorfico quesito,
non ne protesto assetto
solo disposto di tarocchi.

 ***

Elaborazione dati

Non sono più uno di voi
perché non lo sono mai stato,
non sono più quello che sono
perché mai riuscito.
Tutti abbiamo la cruna stretta
e il passaggio improponibile di cima;
nessuno valuta il paradosso materiale
come flusso di quantità indulgenti
e interstizi vuoti di sostanza:
si guarda al fulvo, si pensa la criniera.

Se l'esistenza pensiamo in ologramma
possono i sogni esprimere materia?
È l'interrogativo che galleggia
prima che sonno rotoli dal cosmo
e la coscienza tacitata trovi l'artiglio.


Salvatore Contessini, "La cruna", La Vita Felice Edizioni, Milano 2018; prefazione di Piero Marelli

Salvatore Contessini, architetto e collaboratore editoriale, è nato a Roma nel 1953. Ha pubblicato diversi libri di poesie ed ha ricevuto importanti riconoscimenti letterari, tra i quali il "Lorenzo Montano, 28a. edizione 2014; è inoltre risultato finalista al Premio Internazionale di Poesia e Narrativa "percorsi Letterari dalle Cinqueterre al Golfo dei Poeti. E' risultato vincitore del Premio Internazionale di Narrativa e Poesia Città di Caserta nel 2015.
Ha inoltre curato, insieme con Diana Battaggia, diversi volumi antologici, tra i quali, recentemente, "Novecento non più. Verso il Realismo Terminale", pubblicato da La Vita Felice Edizioni di Milano nel 2016.


martedì 10 luglio 2018

Diario estivo e … la poesia


Eccoci quasi in piena estate! Relax, come suol dirsi, ma anche tempo di riflessioni e di letture, magari sotto l'ombrellone, o nella tranquilla penombra della propria stanza di lavoro o di studio.
E a proposito di riflessioni, volentieri e con piacere riportiamo qui di seguito una interessante Nota di Rita Pacilio, illustre poetessa e critico letterario, nonché Direttrice e curatrice di RPlibri.
Buona lettura!

L’estate 2018, oggi 9 luglio, continua a riservarci sorprese. Purtroppo, la condizione politico-sociale italiana ed europea occupa, in maniera totalizzante, la nostra mente di cittadini e di esseri pensanti. Le notizie di cronaca si alternano tra episodi di razzismo, femminicidi e fenomeni atmosferici, cartine di tornasole della perenne crisi delle relazioni sociali e delle stagioni. Il clima emotivo di noi tutti è turbato dai bombardamenti degli avvenimenti del mondo: la ricaduta emozionale è inevitabilmente burrascosa. In Italia, ultimamente, poeti e critici, per reazione psicologica all’enorme quantità di scritti, secondo me, mettono in scena crudeli stroncature e deliri personali sostenendo che la poesia è morta. Negare e strumentalizzare la condizione sociologica dell’affaccio poetico/presenza di tante giovani voci e il lavoro costante di autori più o meno conosciuti/ affermati, porta a minimizzare o ad amplificare, direttamente o indirettamente, lo stato delle cose. Non mi soffermo sulla qualità o sull’abusivismo della parola poetica degli ultimi anni (poesia e versificazione hanno significato formale, letterario ed estetico diverso, è vero, ma non ritengo sia questo il momento di tirare somme in modo imprudente, prematuro, forzato e semplicistico), ma parlo esclusivamente di rilevazione sociologica come presa di coscienza della necessità di molti autori di esprimersi e servirsi, comunque, della poesia. Di questo aspetto parlerò più dettagliatamente in un eventuale prossimo articolo. Intanto, mentre sui social esibiamo magliette rosse per sentirci più umani, i libri accumulati sulla scrivania chiedono lettura, attenzione e cura. La parola si esibisce a voce alta tra cinema, teatro, musica, fotografia e libri: ecco, mi soffermo su alcuni libri di poesia per divulgare e costruire la strada attuale del cammino poetico il quale definisce lo scopo della scrittura del nostro tempo.

È proprio la sacralità della poesia che cerca il modo di riordinare le cose del mondo. Da anni Antonio Spagnuolo, poeta e critico napoletano, si sofferma, con i suoi scritti poetici, su questa tematica. Canzoniere dell’assenza – Kairos, 2018 e Come un solfeggio – Kairos, 2014 – sono la testimonianza che l’arte ha bisogno di studio e perseveranza nell’ascolto del silenzio e, contemporaneamente, del caos della vita per meglio interpretare se stessi e i meccanismi dell’esistenza. La forma e il senso della parola poetica affievoliscono i drammi umani riproducendo i cambiamenti significativi come potenzialità e superamento dell’assenza, della paura di restare soli. Le immagini narranti girovagano tra ricordi, solitudini, amori, dolori, presenze, rimorsi, dubbi, illusioni, speranze e attese, le quali appaiono segmenti intrecciati nella musicalità dei versi. Qui avviene la trasformazione miracolosa dell’offerta, della celebrazione: il paesaggio intimo assume valenza universale proprio quando viene travolto dalla pulsione sentimentale, dall’amore profondo per gli esseri umani, per la natura, per Dio. L’esperienza feconda e umana della sostanza poetica testimonia l’io e l’aspetto esteriore rendendo grazie alla bellezza del viaggio vissuto come un avvenimento ciclico e senza fine (Il vento leggermente ti scompiglia la chioma/nell’impazienza che assottiglia il ritmo/delle attese. Sei il nitido riflesso di risacca.)

Correnti contrarie, Ensemble, 2017, di Angela Greco, poetessa pugliese, ripropone testi editi e inediti sugli equinozi, giorni dell’anno che delineano le ore del giorno e della notte in eguale misura temporale. L’autrice pone sulla bilancia del tempo la giusta presenza della bellezza e della difficoltà umana della riconoscenza. Poesie e prosa poetica per far esplodere, dalla stessa prospettiva, la consapevolezza della perdita e della conquista. Per questo motivo il gesto del vivere non scolora gli attimi vitali, anzi, li cattura in un linguaggio corposo e metaforico per restituirci il senso delle realtà più semplici del mondo, i sogni, la comunione, i limiti e la poesia (Il mio pensiero, il tuo/l’inimmaginabile piacere/giunto alle stesse conclusioni.)

Molto convincente è anche l’opera di Francesco Lorusso, poeta pugliese, dal titolo Il secchio e lo specchio (Manni, 2018) in cui il lavoro stilistico dell’autore cattura la scena tristissima della quotidianità. Gli oggetti, riflessi nello specchio, infatti, esibiscono se stessi attraverso l’utilizzo delle performance umane, troppo spesso, prive di senso civico. Il libro è pervaso da esplicite sofferenze legate alla falsa cultura, madre, inevitabilmente, di false coscienze capace di deteriorare i rapporti interpersonali e le nervature generazionali. La denuncia del progresso esasperato è la colonna portante del discorso poetico finalizzato a sensibilizzare la capacità di pensiero e il confronto. Stupisce il progetto e l’esito: l’organismo testuale è lo strumento e il pensiero responsabile della poesia fornisce gli specchi di lettura (Il colore della colla secca sulla giacca/e lo stupore assopito dalla fretta/non ci mantiene accostati al momento. Stagna sulla carta/una macchia di identità permessa.)

Viviamo ed esistiamo in poesia sicuramente a prova di nostalgia e memoria come resistenza all’oblio e implorazione della verità. Cactus di Melania Panico (poesie) e di Matteo Anatrella (fotografie), Gechiedizioni, 2018, ne è, dunque, la prova provata. Dieci poesie e dieci fotografie per sezionare l’esperienza emozionale del folgorio vitale: un dialogo storico e intimo che accade nel destino di ogni uomo, nella natura delle cose. Traccia e segno che rendono bene comune e prezioso ogni lacerazione, l’ostinata permanenza, la memoria, la dissoluzione della spaccatura del transito di una foglia o della pioggia sui vetri. Così vivere significa scomparire nel nulla, fermare i momenti o camminare a pieni polmoni, coscientemente. Amare, per questo motivo, la sofferenza delle lacrime sapendo di aver raggiunto la viva maturità del vissuto. L’abnegazione del superfluo, l’essenza, il distillato simbolico della radice e delle vie segrete per riappropriarsi di risposte e ulteriori quesiti filosofici, la mancanza, il tempo: questo il senso poetico di Cactus in cui la parola e l’immagine arrivano, contemporaneamente, ai fondamenti estremi dell’offerta e della complicatissima presenza del reale quale indizio per sospirare, respirare, appartenersi (La fronte mostrerebbe tristezza se potesse/quello che resta è da considerare:/chiudere la porta come ultimo respiro forzato/maestoso istante di gioia).

Rita Pacilio

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà