mercoledì 27 settembre 2017

Sabatina Napolitano e le sue composizioni "Essenziali"


Poesia o prosa? Poesia in forma di prosa, o prosa che contiene in sé l'afflato poetico?... Senza andare a scomodare il Manzoni, che nei "Promessi Sposi" sovente si accosta alla poesia, per immagini e musicalità e ritmo nella narrazione, possiamo ben dire che esempi di brani poetici strutturati in modo "prosastico" ma che mantengono il ritmo, la cadenza e le altre caratteristiche peculiari di una poesia, se ne possono trovare largamente nella produzione attuale, comprendendo anche strutture come il prosimetro, in cui c'è un alternarsi di prosa e versi.
Volentieri quindi presentiamo questi brani inediti della poetessa Sabatina Napolitano, qui proposti con il titolo "Essenziali". E si tratta proprio di un bell'esempio di poesia in forma di prosa, o se vogliamo di prosa poetica, tanto è osmoticamente intrecciata l'una nell'altra, quasi a formare l'ordito e la trama di un tessuto regolare e continuo, arricchito nella propria fondamentale struttura dell'una e dell'altra sostanza. "Essenziali" questi brani, perché essenziale è la parola su cui poggiano, su cui si fondano. Sabatina Napolitano, in questi testi, mira alla spontaneità dell'attimo rivelatore, attingendo con coraggio e perspicacia dalla profondità della sua persona. Utilizza salti di parole e di proposizioni, non tanto per spiazzare il lettore, ma quanto per un collegamento immediato tra una sensazione e l'altra, tra una riflessione/immagine e l'altra: "i poeti hanno sempre dubbi è un gioco continuo di pesci e inchiostri quando mi abbracci vinco il nulla i brividi riempiono la solitudine e diventi semplice come un uomo e abbandoni il poeta,  lasci il tempo, lo prendi, lo mastichi".
È questo raggiungere, qui e là, confini possibili per ritrovare l'"essenza" e la verità degli attimi, del tempo e della materia che nonostante tutto scivola sempre via, che connota la costruzione poetico/prosastica della Napolitano, almeno negli esempi proposti qui.
Una scrittura davvero interessante e sotto certi aspetti originale e innovativa, per l'immediatezza e per la genuinità del progetto, per la forma che abbandona la classica espressione in versi, proponendo una modilità più diretta e coinvolgente.

Ed ora, come sempre, lasciamo al lettore affezionato e interessato, eventuali altri commenti e/o riflessioni su questi scritti di Sabatina Napolitano, alla quale siamo grati per averci dato l'opportunità di conoscere e apprezzare ancora di più la sua attività poetica.


ESSENZIALI

QUANDO SCRIVIAMO POESIE

quando scriviamo poesie disegniamo linee su fogli e quando le leggiamo come in un laboratorio di parole e legni, le nostre sono tensioni di ossigeno, orgasmi, quelle di Kandinskij sembrano cellule: i poeti hanno sempre dubbi è un gioco continuo di pesci e inchiostri quando mi abbracci vinco il nulla i brividi riempiono la solitudine e diventi semplice come un uomo e abbandoni il poeta, lasci il tempo, lo prendi, lo mastichi. E io, analitica, voglio generare luoghi sulla carta, formarci insieme, scrivere le variabili, misurare le voci e qualsiasi caldo del mio più freddo, del mio necessario organismo, tu lo elimini: cancelli il vetro, e il tuo verso segue il mio. Esordiamo così teneramente tutti gli istanti, aspettiamo il penultimo rialzarsi stiamo in macchina a guardarci sollevare, e ti dico: la logica, i segni, le cifre, trascini il pollice dei giorni che vengono dopo, giochi col mio collo, non ci sono più visioni, tu le superi tutte nelle mie parole che si rotolano nell’acqua, le guardo cadere sotto la tua gola. Tutti cercano ancore, io la trovo per caso ogni volta che ci parliamo e mastichiamo non è prendere ma accomodarsi e sono gli occhiali, sono i libri, è quando mi dici sei bella, attraversi gli anni.


NON SEI PIU' NEI FOGLI

negli anni le lettere si appellano al tempo le tue si rivelano come un vocabolario, annoto i vari effetti di luce davanti a me come specchi, superate le visioni che ci fondarono aperti nel fango, e la mia voce come un tonfo continua a incontrarti. L’amore è questo viaggio che ci dà del tu e che chiamiamo per nome. Non sei più nei fogli. Non sei più nelle lettere o vicino alle lettere. Metto le parole più vicine al tuo corpo. Questa sera le geometrie del tuo viso a metà tra l'incarnato e la luce capitano in me senza filtri a dirti mio un moto da consumare sulle tue spalle.


IL DIALOGO SOSPESO

non siamo più eroi a parlare del tempo ritornare all’occasione della genesi, posiamo gli occhi su una idea che sorge da un tronco. Scrivono i nostri nomi in cifre millesimali, avremo tempo per far chiare le immagini a guardare la lancetta porsi domande. E sollevata la fronte parleremo al dialogo sospeso come se la nostra fosse una apertura più in là da ogni dubbio quando nel silenzio t’addormenti e ora ti svegli non per gelosia, non perché è scritto in una poesia in un dopo che ti guarda senza il tempo di capire quando sprofonda il sonno immediato respirando forte ancora nel silenzio, il corpo fuori dal tempo ci dice equidistanti e la sera ci interroghiamo seguendo i movimenti del mistero e ci auguriamo nel giorno nei suoi teoremi che non avesse condiviso con noi la vita e guardiamo le scene come se si muovessero definite mettendo tempo dentro il tempo senza avere fretta senza motivo.


SINCERO

non mi copro più al tuo essere sincero da terra sollevo una giacca respiro fino a guardarla lasciata in macchina dimenticata in locali e la vita scorre, guardiamo la nascita da un balcone, era ora di mutare le cose dette e quelle non dette era ora che un’impronta sprofondasse come pioggia fitta. Al confine delle cose riempiamo una risposta chi siamo io e te una domanda ci stringe non ti somiglierò mai alle ombre mai più i miei seni saranno porti di freddo dentro dove puoi scordare te stesso questa mattina provare ad aprire una strada al vuoto scovarla prima di salpare e prima di saltare in respiri sradicati. Questa mattina mi dimentichi poi poco dopo il caffè mi ricordi e fingi di dimenticarmi per prendere i tuoi discorsi mentre preparo da mangiare. E girare per il corridoio, giocare a nascondino giocare a guardarci allo specchio. Ti imparo ogni mattina così come corpo mentre mi tieni per le caviglie. Siamo anche oggi il rifugio, la calce, ad infilare crune raccogliendo la luce, cucendo la luce.


AL MUSEO


nelle lenzuola c’è un biglietto per il museo. Il caos prende le forme delle tue promesse le inanella mi dici di fermare una poesia la felicità è nostra, è mia in prima persona, scrivono poesie di eventi, non essere la libellula ma il cumulo dei sensi è la strada delle attese. Le scene galoppano, le chiese hanno silenzi, le macchine, la gente corre. Motorini. L’abisso è il meraviglioso fiume degli anni danzano cigni nel disimpegno, dire che siamo ispirati quando l’ispirazione è la vita. Le grandi illusioni ti chiudono alla fede, come sa amare Montale ripristinare una sottile stagione.


UNA SERA AL PORTO

andiamo a una mostra: ci sono orme leggere qualcuno legge una poesia che non è letta. I fenicotteri dicono che la storia rientra. La prima tenerezza suona gli elementi fa venire il mal di fava. Pioppi alle finestre si incastrano agli alberi delle barche come aghi cuciono le cime degli alberi incastrati alle cime delle barche risuonano di archi gialli. Alcune luci sono grappoli d'uova le tue dita digitano orme a riempire finestre quando gli alberi delle barche come punte di piramidi si intersecano a cazzare andature prima di controllare lo spartito come lo spartiacque delle tue mani a rollare controvento con te che cammini avanti a me dopo una caduta e la natura è il molo verde da una finestra come un oblo la luna ci accompagna a casa, tu guidi le tue onde sono in ascissa zero. Eccola la luna, era dietro al monte che ora è dietro la luna ci accompagna così come una virgola. Coito interrotto a vita. Non conosco il morire, le indicazioni sono pelle. Che il respirare è la nostra casa, le carte al monte indicavano l'infinito, le promesse indicavano specchi concentrici di onde di circuiti. Sei bello quando sei lento. Mi baci la schiena. Le barche respirano in un ventre sono tutte vive.


Sabatina Napolitano, nata nel 1989, è vincitrice di numerosi concorsi nazionali per la poesia singola e per la poesia edita. Ha pubblicato: "Metastasi di autonomia" (La Scuola di Pitagora editrice, 2011); "Tango per cigni neri" (Il saggio editore, Eboli, 2013); "A briglie sporche" (con Paolo Bigotto) (Menna editore, Avellino 2013); "Poesie d'amore" (La Scuola di Pitagora editrice, 2015). La raccolta "Negli incastri degli orologi" è stata premiata da Fara Editore; alcuni testi sono on line sul sito della stessa casa editrice.

lunedì 25 settembre 2017

Lina Sanniti: madre di parole

"Madre di parole" è il riuscitissimo frutto di un lavoro poetico considerevole e impegnativo di Lina Sanniti, di Frattamaggiore, un grosso centro nelle vicinanze di Napoli. Docente di lingua inglese nelle scuole medie, esperta traduttrice (troviamo il suo Nome, ultimamente, in un ottimo lavoro di traduzione in lingua inglese, insieme con Michael Palma, del poemetto "Enchanted Anguish" di Salvatore Violante, pubblicato per i tipi di Gradiva Publications di New York, Direttore Luigi Fontanella), Lina Sannita si avvicina alla poesia da poco, ma già raggiunge livelli importanti in campo nazionale, ottenendo numerosi consensi e affermazioni in concorsi letterari di rilievo. Del resto, non essendo la scrittura poetica un mero e superficiale passatempo, Lina Sanniti affronta questa ardua, ma nello stesso tempo entusiasmante, avventura letteraria con consapevole impegno e studio pertinace, che in breve tempo la conduce ad uno stile poetico originale e interessante.
"Madre di parole" è dunque il risultato ben riuscito di questo suo lavoro sulla parola poetica, di questo suo interrogarsi intimamente sulle condizioni del mondo circostante, ma anche, forse soprattutto, sulla propria interiorità, fonte principale di ogni afflato artistico, scaturigine ed estrinsecazione di fatto delle proprie visioni, del proprio cuore, del proprio tormento (o anche gioia) interiore. "Non sono madre di niente se non di parole", ella afferma in una sua poesia centrale (Madre di parole), per ribadire in effetti una difficoltà sostanziale a spiegare se stessi e il mondo, nella confusione globalizzata e nel degrado sostanziale della quotidianità: solo con le parole, e nella fattispecie con le parole poetiche, si può dare un senso alla vita, un senso all'esistenza.
Lina Sanniti ha dunque lavorato molto su questa sua prima raccolta di versi, realizzando così un'opera completa, che tocca problemi sociali (nella prima sezione, intitolata "Gli spazi vuoti"), argomenti più specificamente esistenziali e intimi (seconda sezione: "Parentesi affettive"), e temi marcatamente riflessivi / filosofici (terza sezione: "Madre di parole").

Riportiamo qui di seguito alcuni brani tratti dalle tre sezioni del libro, con l'invito ai lettori di esprimere, se lo desiderano, ulteriori graditi commenti su questo bel testo, opera prima, della poetessa Lina Sanniti.

(Da: Gli spazi vuoti)

Passi di donne

Il mondo è avido di luce
ogni notte una stella muore
un fiore reciso si abbandona
cede la sua linfa allo sterco.
Il respiro del creato si fa dolente
l'aria s'impregna di spasmi
che il tempo non dissolve, non risolve.

Le strade hanno passi di sangue
impronte cieche, pesanti, silenziose.
Corpi di donne che grondano colpe
ignare di un destino che cuce le bocche,
spezza le reni, sconquassa i cuori.
S'insinua sotto pelle una scheggia di dolore
che il tempo non dissolve, non risolve.

In cerca di un dio a cui dare amore
s'affacciano alla vita figure ridenti
degne madonne dal grembo materno
spose regine di un focolare spento.
Le forti braccia non sono più amiche
e il grido prende il posto delle parole
ma il tempo non dissolve, non risolve.


Case impopolari

Perché a noi faiglie numerose
spettava il premio della casa,
a noi numerose famiglie pietose.

Le palazzine ci accolsero trine
con le loro ringhiose teste di Cerbero
che mangiavano quel ritaglio di cielo
protese le braccia a ferro di cavallo.

Rosse come il succo vivo di melograno
orientavano il vento della nuova solitudine
sulle scale lucide di marmo spettrale
nuovo fresco riparo per l'uomo primitivo.

Dai balconi l'immensa campagna smembrata
non entrava nei nostri occhi di bimbi spauriti
svettavano a sinistra croci di cimitero
a destra piccanti fumarole di fabbrica.

Al centro di tutto i nostri giochi inventati
nel cortile che diventava prateria
a sfidare la noia con corse a perdifiato
e a farci del male con trappole mortali.

Di giorno il vociare delle madri abbatteva le pareti
sepolte vive a contare mollichine per i figli
i padri silenziosi apparivano solo a sera tardi
giusto in tempo per chiudere la porta a chiave.

Nell'alveare delle nostre nuove case
mi mancava più di tutto lo sgabello della nonna
sul quale sapevo saltare e cantare felice.

***

(Da: Parentesi affettive)

La tua assenza

La tua assenza
mi ha lasciato senza fiato
senza un alito di vita
eppure… io respiro!

I nostri ingorghi di parole
hanno trovato un senso
approdando ad un muto deserto
eppure… io mi esprimo!

La mia presenza
ciondola tra spazi e figure vuote
ignara della vita che scorre
eppure… io vivo!

***

(Da: Madre di parole)

Madre di parole

Affido la lingua al filo del fuoco
spengo parole povere di senso
soppeso il vuoto di un vivere scritto
scompongo gli argini carichi di segno.

Bianco il foglio del mio corpo aureo
il guizzo attende d'inchiostro etereo
nell'aria svolazza la rima impertinente
riprendo a memoria il racconto silente.

Non sono madre di niente se non di parole
e anch'esse a volte ramingano sole.


Orizzonti

Sbaglio sempre orizzonti, vista, latitudine,
confondo i volti e le intenzioni
vedo il bene che non c'è o forse c'era.
Seguo la mia ombra smarrita
l'abbraccio e la trattengo
erriamo insieme, siamo 'noi',
per questo le parole mi servono,
danno corpo a quel vuoto.
Anche le parole potrei sbagliare
ma mi assolvo da sola.
Il mondo non si accorge di noi.


I segni del Tempo

L'ho capito fin da piccola che dovevo farmi amico il Tempo.
Ora non temo i suoi segni né la sua ossessiva presenza.
Che importa se la mia pelle è più rugosa
e lo sguardo passa tra il miope e il sognante!
Ci vuole tempo per capire tante cose.
Se il Tempo è mio, il mondo è mio.

Lina Sanniti, "Madre di parole", deComporre Edizioni, Gaeta, 2017. Prefazione di Floriana Coppola.

Lina Sanniti, di Frattamaggiore (Napoli), è docente di Lingua Inglese nella Scuola Media. Ha ricevuto vari riconoscimenti, tra cui il primo premio al Concorso Internazionale di Poesia "Avellino in versi" nel 2015. Con Michael Palma ha curato la traduzione in inglese della silloge "Enchanted Anguish" di Salvatore Violante, Edizioni Gradiva, New York, 2017. "Madre di parole" è la sua prima pubblicazione poetica.


venerdì 22 settembre 2017

Il "Quaderno azzurro" di Pierino Gallo

Abbiamo già avuto modo di leggere e apprezzare la buona poesia di Pierino Gallo, in due recensioni a due suoi libri pubblicati qualche anno fa, e precisamente: "Geometrie dell'inganno", Aljon Editrice, 2008, e "L'abbecedario di Verlaine", LietoColle, 2012. Evidentemente la sua attività letteraria è andata ancora di più intensificandosi e raffinandosi, ora che il nostro autore, calabrese di nascita, si è trasferito in Francia per occuparsi di letteratura francese e di letteratura comparata. Questo suo ultimo lavoro poetico, infatti, ha raggiunto una vetta qualitativa davvero importante , consolidando la sua più che meritata presenza nell'attuale panorama nazionale dei poeti impegnati e di un certo rilievo. Il suo "Quaderno azzurro", edito per i tipi di Campanotto Editore, raccoglie, come afferma anche nel sottotitolo, una selezione delle poesie dal 2012 al 2016. Come in un diario, ma più che in un diario, Pierino Gallo affida a queste pagine le sue riflessioni sulla vita e principalmente sull'amore, raccontando in versi alcuni excursus della sua infanzia e particolari salienti della sua vita sentimentale: "Rimane addosso / l'odore delle siepi / e il tuo ricordo / che mi fece guida / in istanti di inutili / abbandoni", scrive infatti il nostro autore, soffermandosi, nel suo ricco (sentimentalmente ed emozionalmente) percorso poetico sugli aspetti salienti del suo mondo d'origine e sui ricordi. Egli ci parla direttamente, rivolgendosi sovente a un "tu" che è in fondo anche specchio della propria anima, un riflesso di se stesso, uno sdoppiamento utile e quanto mai necessario per una maggiore efficacia espressiva, cosa che al nostro poeta sta molto a cuore.
"Cos'è – allora – questo Quaderno azzurro?", si domanda giustamente Leone D'Ambrosio nella sua dotta e dettagliata prefazione. Evitando di andare a cercare motivi reconditi o lacerti giustificativi di chissà quali realtà oltre i confini della quotidianità, possiamo affermare con abbastanza e genuina approssimazione che la poesia di Pierino Gallo, in questa raccolta, mira a raccontare la semplice verità del suo pensiero, con animo aperto e disponibile a condividere con il lettore / mondo esterno la propria esperienza di vita trascorsa ed attuale. E lo fa utilizzando una struttura poetica sobria, del tutto priva di ridondanze inopportune, con un verso diretto ma per niente superficiale, anzi: parole e costrutti che fanno presa, suscitano emozioni e riflessioni. Sono versi, quelli di Pierino Gallo, di alta liricità, quasi riflessi pascoliani di un mondo intriso di nostalgia, ma anche di amore e di speranza.

Per offrire al lettore spunti di ulteriori riflessioni sulla poetica di Pierino Gallo, in questa sua recente raccolta, riportiamo qui di seguito alcuni dei suoi testi tratti dal libro, invitando tutti ad esprimere qualche gradito commento.

*

Si è come rotto il cerchio
dell'erranza
ed io Caino col marchio sopra il petto
mi divoro.

Il mio mese è d'inverno,
ché addosso ho le catene
della neve.

Vengono steli di ghiaccio
sul dubbio se lasciare

la terra.


 *

Il posto dove ho lasciato la mia infanzia
ha l'odore dellìerba e i tuoi capelli,
piccole mani sul collo,
e quel rumore immortale
delle merende scartate sulle rocce.
Allora mi portavi sulla schiena,
disegnando coi passi
racconti che conobbi.
Rimane addosso
l'odore delle siepi
e il tuo ricordo
che mi fece guida
in istanti di inutili
abbandoni.
In ogni spigolo o lembo
non v'è ritorno,
solo l'averti e l'accoglierti.


*

Forse ho imparato che di tutti i miei giorni
il più prezioso è quello che non volli.
Lo so, lo so, lo so,
ho l'età delle fate,
ma di notte, quando dormono gli orchi,
i miei occhi sono luci azzurrine,
di notte, si ritorna alle stelle.
Così ripeto che il mio viaggio è eterno
e che d'autunno muterò di foglie,
d'autunno, avrò un vestito nuovo.
I nostri canti sulla soglia del bosco
sono baci d'argilla.



 *

Abbi cura di me, sii lucente.
Tocca con le mie mani la pioggia
e con il piede
abbi cura della terra.
È breve lo spazio che ci incarna,
presto saremo privi di sostanza
e avrò voglia di radicarmi al cuore,
di farmi eco ancestrale,
d'esserti voce.
Nelle tue solitudini,
abbi cura di me, di te,
come l'aratro gentile
con il frutto,
o il fiato confinato
in un bicchiere.
Presto verrà la vita
a infilare il respiro
nel petto.


*

Era tutto così chiaro
attorno a quella nuvola di stormi,
i tuoi capelli raccolti attorno al collo,
le corazze purpuree
ed il velo troppo spesso di fuliggine
appeso al davanzale.
Ci voleva il ricordo della nevc
e dell'acqua sorgiva dei tuoi occhi
a risvegliare la fuga verso il sole.
Io sono figlio che affonda nella terra,
crisalide errabonda,
sogno di te.
Un pettirosso, dalla casa di fronte,
si muove senza sosta.
Come posso diventare il tuo respiro?
Soltanto adesso
mi accorgo
che sono aria,
luce,
albero,
amore.


*

È un libro sull'amore
quello che scrivo,
tutto viene annotato,
le azioni sono dettate
dal sogno,
o dal reale rifugiato nel sogno.
Un tempo immaginavo
frontiere,
bruciate sotto gusci
di conchiglie,
un tempo
le mie scarpe erano
soglie immobili,
lo sguardo una domanda inascoltata.
E così fu la luce intatta:
il non capire, il non vedere,
il non conoscere
erano solo contrazioni imposte,
pareti cellulari
che trafissi con gli anni.
Forse era un tepore ritrovato,
il cuore ciondolante per la stanza
impaziente dell'altrove.
Qualcosa tra il fruscio degli ulivi
mi lega al mondo.
Con cura continuo a posare
il mio piede sull'erba.


*

Li senti ancora
dalla strada di fronte
i giovani in amore?
Arrivano con l'odore di fieno,
i volti illuminati d'albe,
agili come sbuffi di vento.
Un momento, nell'aria,
un berretto a sonagli
ci dice dove andare.

 (Testi tratti da: "Quaderno azzurro", Campanotto Editore, 2016; prefazione di Leone D'Ambrosio)

Pierino Gallo, calabrese, vive attualmente in Francia, dove svolge la sua attività di ricercatore in Letteratura francese e Letterature comparate. Ha pubblicato articoli ed interventi critici su prestigiose riviste letterarie. Sue poesie compaiono in Gradiva – International Journal of Italian Poetry, Poesia di Crocetti e Capoverso; e sui blog di RaiNews, Atelier e Carteggi letterari. È autore di diverse traduzioni dal francese, di un saggio (Pasolini tra Pascoli e Baudelaire, Il Coscile, 2008) e di tre raccolte di poesie: Attese (Edizioni Orizzonti Meridionali, 2006), Geometrie dell'inganno (Aljon Editrice, 2008), e L'abbecedario di Verlaine (LietoColle, 2012).


lunedì 4 settembre 2017

Le "Emersioni" poetiche di Alessandra Fanti

"Emersioni" è il titolo sibillino, indovinato, di un libro di poesie di Alessandra Fanti, cagliaritana. Si tratta della sua prima raccolta, ospitata nella Collana Opera Prima diretta da Rita Pacilio per le Edizioni La Vita Felice. Ma per approdare a questa prima raccolta, il lavoro di ricerca e di stile, nei contenuti e nella forma, è evidente, come è evidente il percorso poetico dell'autrice che l'ha condotta a questo importante risultato. Un punto di arrivo, certo, ma anche sicuramente un punto di ri-partenza, perché la poesia di Alessandra Fanti è destinata a riscuotere sempre maggiori e meritate affermazioni e consensi, dal momento che il suo dettato, il suo dire poetico, affascina e coinvolge, come deve accadere in ogni costruzione poetica di qualità.
Le poesie brevi, senza titolo, si alternano in riflessioni acute sulla propria esistenza, sulla schiettezza dell'anima, sui sentimenti e in particolare sull'amore, ricercato, provato, sfiorato, deluso.
Organizzata in otto sezioni, la silloge si mostra fluida e gradevole. E sono poesie che inducono a riflettere, a meditare sul senso quotidiano della vita e dei sentimenti. Se qualcosa resta in noi leggendole, vuol dire che l'autrice ha la potenza e il dono di comunicare direttamente al cuore e alla mente del lettore: un talento poetico non sempre riscontrabile.

Riportiamo qui di seguito alcuni brani tratti dal suo libro, lasciando ai numerosi amici che ci leggono di aggiungere, se lo desiderano, altre riflessioni in proposito.

(Da Scarlatto)

Sono cose semplici quelle di cui ti parlo
sono quelle che so, pochissime in realtà.
Bisogno e gratitudine
stupore e lontananza
amore e ogni suo contrario.

***

Sono una torre di sabbia
sgusciata dal secchiello di un bambino estivo.
Mi sbriciolano passi, onde e vento.
Non c'è eternità per me.
Ma la sabbia nessuno la consuma.

***

Sono amiche delle spine
le mie mani e hanno sangue
abbastanza da poterne sprecare
in qualche goccia perduta
nello scivolare di velluto della rosa.
Il vento è un conoscente
che frequento da troppe estati
per doverlo temere ancora
non ho segreti con lui
nonostante i silenzi
che da sempre gli regalo
quando ho la bocca
chiusa dai baci o dai baci aperta.


(Da Porpora)

Ridono gli occhi alle labbra e viceversa
messaggi incrociati a riconoscersi
da un lontano non c'eri.
Così in fretta ti vedo e mi guardi
che <<dov'eri?>> non domando già più.

***

Nulla mi aspetto da te
negli specchi dei nostri sguardi rimbalza di tutto.
Tenerezza e ferocia, tue nel primo accenno di danza
scorrono nel mio sangue in tempesta.
Ti temo. Ti amo.
Ti cancello in meno di un respiro.
Sono già tua e non mi vuoi.
Ti lascerei morire senza un bacio a salvarti.


(Da Sangria)

Come miele che cola
sulla pasta croccante
il tuo sorriso lento.
Non so mai
quale timore lo trattiene
prima di sbocciare
ma si apre e scalda.
Ti conosce il mondo
prima del ritorno a casa.
Poi manchi.

***

<<L'amore – se era – resta.
È al sogno che dico addio.>>
Due traiettorie si incrociano
si affiancano, sognano un percorso.
Poi diverse gravità faranno il loro corso.
Forse ci si amerà ai lati opposti dell'universo.
Forse no.

***

Sei bello
ragazzo mio
splendente d'aria
come il rosso rubino
che rimbalza e corre via
nei chicchi della melagrana
sfuggiti all'improvviso al piatto
che la mano distratta ha inclinato.
(Il dire dei tuoi occhi sfugge al tempo.
Nel ricordo è eterna ogni cosa che non dura.)


(Da Ruggine)

Non volevi me.
Non volevi neppure il mio corpo.
Volevi il mio piacere per esserne contagiato.
Non te l'ho dato.
Non sapevo dov'era finito.
Procedere alla cieca, nel buio sconfinato
lo ammetto, mi è piaciuto.

***

Nei sogni in cui cerco e non trovo
con il filo a scorrere dell'angoscia
con il filo sottile della voce
che non esce
con il filo dei passi interrotto
- paiono incollati piedi e scarpe al non posso –
intreccio la domanda.
Voi dite sì.
Io non riesco a svegliarmi.


(Da Corallo)

Farsi erba.
Silenzio verde.
Pazienza in fili.
Nessuna urgenza.
Passare così.
Indimenticabili nullità.

***

Un piccolo dove di ombra e sole
a spezzetto sul tavolo.
Aver mangiato prima – con risa.
Abbracciare quel sonno che ci circonda le membra
a volte, in quel dove.
Mentre si vorrebbe dormire
dimenticando il formicare del tempo
il suo duello di lancette e noia.


(Da Carminio)

Un misuratore di livello di poesia
– questo avrebbe voluto inventare –
per opporre agli sguardi scettici
un dato oggettivo, un numero netto
una conferma sperimentale di ciò
che credeva reale: non c'è cosa
al mondo immune, non c'è cosa
che si salvi dalla corrente – irosa –
che trascina e sposta e, quindi, posa.
Non sono un inventore, pensò il poeta
e tornò a scrivere di tutto, come prima.

***

Ha doveri di trasparenza la voce
davanti al mare ogni reticenza inquina
il pomeriggio un sollievo di presenza.
I respiri hanno ritmi da brezza
le età trascorsi da mescolare
gli occhi riconoscono gli strappi delle raffiche
la coda dell'occhio è l'organo preposto e sa.
Noi, con le carte del si può o non si può,
da piccole pieghe attente magicamente
sbocciamo aerei da tenere in tasca
a sgualcirsi in attesa del decollo.

***

Da ogni ferita ad ogni consolazione.
Si può.
Se mi ascolti, se ti ascolto.
Come fossimo – e siamo – lo stesso andare. 

Testi tratti dal libro: "Emersioni", di Alessandra Fanti, Collana Opera prima diretta da Rita Pacilio, Edizioni La Vita Felice, 2017. Prefazione di Rita Pacilio, postfazione di Gavino Angius.

Alessandra Fanti è nata a Cagliari nel 1962. Scrive per necessità, diletto e gratitudine una poesia popolare che, nella semplicità dell'espressione, renda conto delle complessità del sentire e del suo sguardo sull'umano, da sempre interesse primario e luogo della sua ricerca.
"Emersioni" è la sua prima raccolta di poesie, edita per i tipi de La Vita Felice Edizioni, nella Collana Agape, Opera Prima, diretta da Rita Pacilio.


sabato 2 settembre 2017

Il "Cuore quarantena" di Giulia Bravi

Una giovane poetessa, ma che ha già maturato fortemente la propria spiccata inclinazione per la letteratura e in particolare per la poesia (da notare il suo eccellente percorso in quest'ambito, e i riconoscimenti ottenuti in importanti concorsi letterari). Parliamo di Giulia Bravi, nata a Rimini, studentessa universitaria a Bologna. Meritatissimo il suo primo premio ottenuto l'anno scorso a Napoli, al concorso "Il Banco dei Poeti" indetto dalla Fondazione Banco di Napoli e svoltosi nella prestigiosa sede dell'Archivio storico del Banco di Napoli; in giuria Maurizio Cucchi, Davide Rondoni e Melania Panico.
"Cuore quarantena" è dunque il frutto di questo importantissimo riconoscimento: un'opera davvero encomiabile, pubblicata per i tipi di CartaCanta Editore, Collana I Passatori, con prefazione di Melania Panico e postfazione di Davide Rondoni.
Ecco cosa dice del suo "Cuore quarantena" la stessa autrice, in sintesi:

"Cuore quarantena è una raccolta di poesie nata dall’incontro con le storie contenute nell’Archivio Storico del Banco di Napoli e messe a disposizione dalla Fondazione in occasione del Premio Il banco dei poeti. È il mio incontro con le persone, i fatti, i luoghi che abitano quelle pagine antiche – inesauribili scrigni di nomi e di giorni.
Questo libro è la mia voce prestata a storie che non possono morire, a uomini che continuano a chiedere di essere ascoltati. Mi hanno chiesto la parola e io gliel’ho data. Sono loro questi versi."

In effetti, il coraggioso e direi riuscitissimo modo di ideare e realizzare una complessa e originale costruzione poetica ispirandosi e basandosi sulle storie antiche conservate nell'Archivio del Banco di Napoli, è la dimostrazione tout-court che vera, autentica poesia, è la ricerca di temi diversi, di continue instancabili speculazioni interiori (e sul mondo esterno!) rivolti ad esprimere, in modo poetico, tutto ciò che in qualche modo ha "sconvolto" o perlomeno interessato, stuzzicato, affascinato, la propria anima e la propria intelligenza creativa e artistica. Giulia Bravi ha trovato questo "canale" di ispirazione nelle storie dell'archivio, rimanendone "poeticamente" impressionata, profondamente interessata, tanto da riuscire a produrre quadri poetici che, traendo spunto dalle storie originali, ripropongono fatti, situazioni e personaggi dell'attuale vissuto dell'autrice.
Ma ora invitiamo i nostri lettori a leggere alcuni testi della nostra autrice, tratti dal libro "Cuore quarantena", per esprimere poi, se lo desiderano, ulteriori graditi commenti.

Nota:
I seguenti testi sono tratti dal libro "Cuore quarantena" di Giulia Bravi, CartaCanta Editore, Forlì, febbraio 2017, Collana I Passatori. Prefazione di Melania Panico, postfazione di Davide Rondoni. Silloge vincitrice del Premio "Il banco dei Poeti", Napoli, 2016

(Da: Hecce Homo
1590)

Che l’amore fosse sangue
lo imparò in ottobre.
Le lenzuola bianchissime
la sua pelle tutta avorio,
un Ecce Homo appeso
che la guarda.

*
Era stato il regalo più prezioso
quel quadretto di panno,
era d’argento e d’oro:
un Ecce Homo.
Appeso nella camera
da letto, lei non voleva
non riusciva a guardare
il sangue, non sapeva
leggere l’allarme
rosso di quell’uomo.

*
Che l’amore fosse sangue
e che il sangue fosse rosso
lo imparò in ottobre.
Fabrizio
era l’amore, il suo vizio
la passione precipizio.
Lei non guardava mai
l’Ecce Homo, ma
la carne del suo uomo,
il lenzuolo bianco
della pelle.

*
Il sangue nel corpo
non basta, è troppo poco.
Arriva, li vede,
non sa dove colpire
lo fa senza guardare.
Lei non sente niente,
vede solo il sangue
correre sui ricami
bianchi del letto,
dice solo un nome
“Fabrizio”.
Non sapeva
proprio non sapeva
- lo imparò in ottobre -
che la passione fosse sangue
rosso, punizione.

*
E chiedersi nell’atto ultimo
il gesto estremo
quando ho iniziato a perderti
le diagnosi sbagliate
l’amore sempre imperfetto
ma eri mia quel giorno
e tutta bianca, quando
hai iniziato amore
a sporcarti, il difetto?

*
Lanciare il sasso
non ti restituirà i suoi occhi
non ci sarà l’amore
da seppellire
ma solo il corpo
negato, sottratto
il respiro. E ora
un pizzico di terra
sopra il viso bellissimo
che non poteva essere tuo.


(Da: "Cuore Quarantena"
1656)

Il sole ti ha seccato le labbra
ti sei privata dell’acqua
– che beva lui, salvalo…
Speravi che la fine
dei tempi volesse te
sola, lui no, non
poteva, lui
era forte, gli occhi
giaguaro, quelle mani
lasciarle mai
no, non voleva…

*

Ritorni a casa, il fiato
manca, mancano le parole
tra la laringe e le labbra
scorrono, si perdono.
Manca la presa
della mano, il cuore
per dire: amore
quarantena.
Sono questi i comandi
dati dai soldati.
Ma lo vedi a letto
il suo cuore giaguaro
che respira, il viso
rosso, il suo respiro amaro.


(Da: "Gli Incurabili",
1683 – 1763)

Ursola chiedeva: toglietemi il sangue
dalle vene; Ursola una volta
era bambina e rideva,
diceva di parlare con una rosa,
si feriva le dita bianche. La spina.
All’Ospedale degli Incurabili
arrivata a trentatré anni
internata, ricoverata per pazzia.
Le tagliarono le unghie cortissime
– si feriva le braccia, i polsi.
Le mancavano le rose:
per tutta la vita ne cercò le spine,
i tagli sul corpo – quella presenza,
la voce che non doveva dirle addio.

*
Stai calma, bambina, donna
che non ha saputo crescere
tra queste braccia.
Forse qui, tra queste mura,
avrai tregua, troverai riposo,
la tua bonaccia.
Non so con che voce dirtelo
con quale ritornello
è l’ultima ninna nanna
che ti canto
figlia mia
bambina mai cresciuta,
la mia donna.

*

Il medico dell’Ospedale degli Incurabili
è il maestro dei matti nella Casa Santa.
Lo vedi passare in ogni stanza:
sa correre dietro agli urli
di vetro dei pazienti. Ogni chiamata
non porta il suo nome, nemmeno l’eco
di “mastro” nei corridoi. È il male
che entra dalle porte e grida.
Non c’è pomata. Lui calma
con quel passo affrettato
i deliri dei pazzi, il dolore
che continuamente chiama.

*
Sa bastare la terra
per raccogliere tutti i corpi?
A Napoli lo Tridici
il cimitero: trecentossessantasei
fosse. La terra può
contenere un corpo
al giorno, anno bisestile.
Oltre le mura lo Tridici
raccoglie trecentossessantasei
corpi, oltre i suoi cancelli.
Sa bastare la terra
per raccogliere tutti i corpi?
Si prepara la barra lunga,
il tavolone di castagno.


Giulia Bravi è nata a Rimini nel 1996. È diplomata al Liceo Classico e studia Lettere, curriculum Culture Letterarie Europee, all'Università di Bologna. È stata vincitrice dei premi: Edgardo Cantone (2014, 2015, 2016), Agostino Venanzio Reali (2014, 2015), Il Banco dei Poeti (2016). Frequenta il Centro di Poesia dell'Università di Bologna e collabora con la rivista letteraria "ClanDestino", diretta da Davide Rondoni e Gianfranco Lauretano. Suoi testi compaiono su riviste, blog di poesia e nella trasmissione televisiva In che verso va il mondo, a cura di Davide Rondoni.

Cuore quarantena è la sua opera prima.


Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà