domenica 14 settembre 2014

La forza della natura nella poesia di Agostina Spagnuolo

Abbiamo avuto la fortuna e il piacere, lungo il nostro percorso poetico, di conoscere e di apprezzare molti poeti irpini di valore. Tra questi, la voce sicura e determinata di Agostina Spagnuolo, poetessa, scrittrice e saggista di Capriglia Irpina, è degna di ulteriore attenzione. La sua poesia è infatti molto legata e ispirata non solo al mondo contadino, alle virtù e ai valori ad esso collegati, ma anche alle problematiche sociali e dovunque vengano calpestati i diritti e la dignità dell'uomo e della donna. Una poesia forte, accentuata attraverso immagini vivide ed espressa con un dettato poetico gradevolmente lirico.

I nostri attenti lettori sapranno aggiungere altre gradite osservazioni in merito a questi versi di Agostina Spagnuolo.

L’attesa

Coltivammo sogni
là, seduti sul bordo del ruscello
mentre calava il sole della sera.
Le membra
piegate alla fatica
trovarono ristoro
nello scorrer d’acqua
che segnava l’ore.
Aspri tra le mani  ruvide
tormentammo i sassi
e con la rabbia dei nostri anni
freschi e coraggiosi
li scagliammo in acqua
che ne facesse perle come d’avorio
lisci.
Polipòdi e felci
udirono il lamento
di chi cercava fiori
sulla sua via.
Non attendemmo l’alba
non si poteva!
Affrettammo il passo
perché il buio già incombeva.
Tornammo a casa
ad attendere il risveglio.

Al tavolo del baro

Ha gettato l’asso di picche
la vecchia dagli occhi di fuoco
sul tavolo verde del gioco del baro,
Medusa dai capelli di serpi,
sogghigno tra i denti di strega,
a deridere il re di fiori, appassiti,
e la regina di cuori, banali.
Ballano danze intorno al falò
folletti notturni.
Tetra la sala da gioco 
è accessibile solo a chi sa scoprire
la formula magica,
carpita la parola d’ordine
presso il Grande Palazzo.
Al “Castello” – kafkiana memoria-
è nascosta in prezioso baule
la chiave d’accesso al gioco d’azzardo.
Trame filate da vedove nere
neanche Excalibur,
fantozziana impresa all’automassacro,
può fendere.
Basta meno.
Basta togliere dal mazzo di carte
i fiori appassiti e i cuori banali.

Un filo d'avorio

Nell’ebano dei tuoi capelli
mi turba un filo bianco
come d’avorio,
bambino mio.
Troppo presto s’annuncia
la sera che verrà.
Forse ogni tempo
è alba e già tramonto?

Arlecchino spento

Non si contano più.
Sul lenzuolo ocra
di sabbia e sassi,
rivoli di vita

rossi
come gli abiti lacerati
sulla strada
percorsa a metà;

di fuoco
come gli occhi
che sobbalzano, la notte,
al tuono delle bombe;

scarlatti
come braccia di madre
che sulla pietra bianca
del dolore
stringono i sogni perduti;

vermigli
come la vergogna
che dipinge i cieli
di tutte le terre
dove altri hanno deciso
la sorte di tanti.

Scalzo tra le foglie,
udii  gemiti dal pioppo
pulsanti di sgomento.

Scivolarono dalle mie dita
tutti i colori. 

Stracci

Deposi all’ombra del ciliegio
i brandelli del buon vivere
barattati nel viale degli incontri
con stracci di pensieri
ricuciti a lembi di speranza:
le  giornate sghembe
le sfumature grigie
le mattinate lente
le lacrime inghiottite.
Indossai i colori del sole
sulle vesti nuove.
Dissotterrai il mio coraggio.
E lo abbracciai.

Sulla frontiera del compiuto
(in ricordo di Piergiorgio Welby)

Prigioniera la mente
nello spazio immoto
di un corpo
confinato per sempre
vuole andare
libera
non più  incagliata
per volare
al di là
del materiale
affrancata
nell’estremo distacco
oltre i confini
della prova
amara
or che tutto è vissuto
or che tutto è pensato
oltre la speranza
sulla linea di passaggio
alle colonne d’Ercole
dell’esistere.
Ricerca d’assoluto
sulla frontiera del compiuto
verso l’Incognita
Infinita.

Girasoli

Sono rimasta ad ascoltare gli uccelli,
stamani.
Hanno violato i sigilli della notte
col frullare chiassoso delle piume.
Hanno salutato il giorno
con un canto nuovo
o forse no.
Dai girasoli dei pensieri
ho strappato i petali, a uno a uno,
delle mie amarezze.

(Dalla silloge Volevo guardare il mare, Per- Versi, 2009)

***

INEDITE

Case senza porte,
gli specchi delle stanze dicono segreti,
gli stessi dello scrigno, nostro sudario di marmo.
Onde a fasi alterne sul filo della vita:
noi, riflessi di nodi sull’acqua.
Domande sulla corrente dell’andare, vane.
Un solco di lacrime sul viso,
lo sguardo all’altra via.

 *
Occorre plasmare questo nostro pensare,
nell’immanente matematica inesatta,
alle variabili dell’imprevisto, punti
d’intersezione come siamo, in balia
delle funzioni spazio-temporali. Siamo
i calanchi erosi dalle sferzate della
pioggia, che ci trasforma in ghiaia,
sorretti da fili sottili invisibili,
appesi alla balaustra affacciata
sul precipizio. È la spina dorsale
del pensiero che ci afferra in volo,
ci appoggia al parapetto limaccioso
e riprendiamo a risalire i pioli.

*
È da cercare un punto di equilibrio
da dove trattenere il senso come
all’andirivieni della risacca dove
è il canto del mare che va e viene
e viene e va…

*
Cariosside beccata da rondini,
liquefatta come il sangue
di sangennaro in una bolla d’aria secca,
qualcuno ha chiuso a chiave il cuore, un muro
ammuffito. Quello della stanza accanto
è l’eco di un flauto che percuote i timpani.
La cenere caduta al tavolino del caffè,
incantati su balaustre di legno,
incapaci di piantare grane
o di stare in equilibrio persino sulla bici,
si sta sul grido del vento e la prigione del cuore.

*
È pane rubato
il pane bruciato
uomini in fuga
braccia in alto levate
disperati quei volti
è carne umana
in brandelli
che colpa hanno i bimbi
chi armò quelle mani
miseria è rimasta
dei campi di grano…

(agosto 2014)

*
Ormai
il tempo della poesia
è un abito dismesso
appeso
penzoloni
al gancio su in soffitta.
È un rivolo il cuore
smarrito
come, in lontananza,
all’offesa del primo amore.
È fuggita la poesia,
ingoiata nel caos di ritorno.
Il mondo è matto.
Ed io mi sono persa.

(agosto 2014)

Agostina Spagnuolo (Capriglia Irpina AV, 1951). Laureata in Scienze Biologiche, ha insegnato in scuole medie e superiori della provincia di Avellino. Ha pubblicato la silloge poetica Volevo guardare il mare (2009), il racconto antropologico Di cenere e di pane, un viaggio nella civiltà contadina da Capriglia Irpina a Guardia Lombardi (Premio Speciale della Giuria di Calabria e Basilicata “Il musagete”, 2012). Ha aderito alle raccolte antologiche Rassegna di poeti campani (2009) e Attraverso la città (2011) della casa editrice Scuderi. È presente in numerose antologie legate a premi e rassegne letterarie. Si ricordano, tra le altre: Quaderni di Lìnfera, EPC 2009, Fili di Parole, Perrone, 2010; La polvere e la luna, Delta 3, 2010; Pietre vive 2, Delta 3, 2012; Terra di pane, acqua e amore, Delta 3, 2013; Tra terra e cielo, Il Giglio di Flumeri, Delta 3, 2013; Le radici del linguaggio subalterno, Il Papavero edizioni 2012 e 2013;  Il Federiciano 2013. Premiata in numerosi concorsi letterari, l’opera poetica dell’autrice è recensita in Storia della poesia irpina 2 (a cura di Paolo Saggese), ediz.Delta3, Grottaminarda 2013; in Gradiva, Rivista internazionale di poesia, n.37/38, anno 2010. È in via di pubblicazione il saggio storico Capriglia Irpina, appunti si storia di vita quotidiana dalle origini ai nostri giorni.
L’autrice presta la sua opera di volontariato, in qualità di docente, presso l’Università del tempo libero di Avellino. Collabora con la rivista «Narrazioni Onlus».


Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà