giovedì 28 agosto 2014

"All'origine dei sensi" di Piero Mastroberardino

E' proprio vero che il talento creativo, il talento artistico, si manifesta nell'uomo indipendentemente dalla natura della sua attività professionale. Piero Mastroberardino, nome illustre della produzione vinicola irpina di eccellenza, nonché apprezzato manager e professore universitario, è anche pittore e poeta di rilievo. Offriamo qui di seguito ai nostri lettori, ai quali come sempre chiediamo di collaborare pubblicando brevi commenti o riflessioni, alcune sue poesie tratte dal recente libro "All'origine dei sensi", Edizioni Tracce, con prefazione di Plinio Perilli.

Si tratta di un poetare consapevolmente pacato, non privo di un certo ritmo, con un linguaggio diretto e riflessivo, con il quale il nostro autore cerca di affrontare e di esporre i problemi dell'esistenza, soffusa da dubbi e incertezze, ma comunque pregna di amore e di speranza.

Deriva

Un gesto, afferri e sciogli quella cima
e lasci le emozioni
dalle profondità venire a galla
come carcasse gonfie, di naufragio,
e le abbandoni alla deriva
mentre con altre cozzano
per un beffardo gioco di correnti.

Viene il tempo

Viene il tempo in cui scopri
che il mondo non può reggersi da solo,
che se togli i puntelli un muro cade,
che quando crolla il primo c'è un innesco,
che il domino è ben più che un passatempo,
che un'offesa non reca sempre un dolo,
che grotta è preferibile a grottesco,
che il tempo non lenisce le ferite,
che il dolore si spande senza orpelli
e gira e scava a mo' di punteruolo,
che la gioia, di tanto in tanto, invade,
poi fugge, lesta, verso nuove vite.

***

Orizzonte

Sguardo si perde in universo informe
che ingurgita i miei sensi.
Risacca
osservo mentre scava attorno ai piedi.
Mi lascio risucchiare.
Quel moto si fa più resistente
nel sommergere satura lo spirito.
E' il vuoto che tracima
così gonfio da togliere il respiro.
Socchiudo l'occhio
ora si perde...
in mare.

***

Sommesso

Sorriso spento.
Sole che non sorge.
Solco arido
trancia in un affondo
dorso di mulo
duro come argilla.
Liquidi non rilascia
la ferita.
Un rivo trasparente
appena nato
azzarda quasi
a ruzzolare a valle.
Prosciuga ai primi passi
debolmente.
Neppure prova
a conquistare il guado.

***

Bassifondi

Scudisciate di luce inabissate,
suoni, rumori,
urla strazianti, voci deformate,
strozzate nella gola a malapena.
Viaggio sofferto, da epoca trascorsa.
L'ignoto si concede, decadente,
e con annuncio gelido va in scena.
Stringe senza misura, unica morsa,
sogni e timori.
Poi stronca i palpiti... è un sol fendente.

(Poesie tratte dal libro "All'origine dei sensi", Edizioni Tracce, 2014)

Piero Mastroberardino nasce ad Avellino nel 1966. E' professore ordinario in discipline manageriali. Parallelamente cura con la famiglia le attività di viticoltura e di produzione di vini pregiati d'Irpinia. Dal 1993 ha pubblicato circa cento lavori scientifici su riviste e collane editoriali nazionali ed internazionali, nel campo delle discipline manageriali. Si dedica fin da piccolo al disegno e alla pittura, e in seguito, alla narrativa e alla poesia.
Nel 2011 ha pubblicato il romanzo "Umano errare" ed è in corso di realizzazione un suo nuovo romanzo. Ha realizzato alcune mostre personali dei propri disegni in Italia, e sono in preparazione alcuni eventi espositivi nazionali ed internazionali.

sabato 16 agosto 2014

Carla de Falco, "sciamana dell'inverno"

"Faccio poesie e nulla so fare meglio", ribadisce Carla de Falco in una delle sue poesie che volentieri pubblichiamo qui di seguito. Si tratta di una impellenza che troviamo in molti poeti, anzi quasi tutti, ma in Carla de Falco questa impellenza è ben misurata, ragionata, lavorata; il suo dire è quasi provocatorio, teso a sommuovere quel velame di ignavia e di falso perbenismo che avvolge l'uomo/poeta nella sua quotidianità, offuscata e degradata da valori banali ("il cielo gualcito dalle nubi"). E' una poesia diretta, scritta con la necessità di scriverla, ma anche ricca di contenuti ed espressa con un linguaggio forte e deciso.

Ma lasciamo agli amici lettori che ci seguono altre eventuali interessanti riflessioni sulla poesia della nostra amica napoletana Carla de Falco.

seduta

e me ne sto così
seduta
nel ventre dell’umana mia giornata
l’odore di caffè bruciato vivo
il cielo gualcito dalle nubi
il suono del domani appeso a un chiodo.
è un po’ di tempo che me ne sto così
seduta
ricordando il senso delle mani
che cercavano approdo nel tuo corpo
invocando una riva o un ancoraggio.
eh sì, ormai io sto così
seduta
a sperare che il chiodo regga ancora
e dia tempo ad una nuova vela
di illuminarsi dietro l’orizzonte.

(Tratta da "Il soffio delle radici", Laura Capone Editore 2012)

l’istante prima della pesca

il silenzio rotto da una lenza
è un fischio nell’azzurro imperturbato
un graffio che lascia l’aria tersa
un lampo che s’inchioda in nuovo pianto.
in un punto come un altro, estratto a sorte,
in quel punto ancora brulicano pesci
ma, cieca, la vita è già un riflesso.

(Tratta da "Il soffio delle radici", Laura Capone Editore 2012)

la brezza viola della sera

e l’aria muove le cose
cocci malfermi di case
chiodi ficcati nella terra
frutti di resistenza
onde parate a festa
e note di rosarancio.
con saggissimo orgoglio rifletto
sul dispotismo mite del cielo
l’azzurro muore e si fa viola
il giorno nella sera trascolora.
non è per tutti, la poesia.

(Tratta da "La voce delle cose", Montag Edizioni 2013)

sipario

allunga le sue ombre
sorge e copre
come dismessa veste
il mare dissanguato
gli orecchi intorpiditi
i calici violati.
induce sottrazione
misura l’intervallo
tra oniriche distanze
e caotiche coscienze.
ha sapore di frontiera
a sud, la sera.

(Tratta da "La voce delle cose", Montag Edizioni 2013)

tempo muto

tra balbettii senza senso
e pruriti ai minori vietati
i più stanno a grattarsi per ore
la rogna di idee riciclate.
chiedo scusa dell’ironia stuprata
ma in verità solo chi scrive scrive.
il resto piscia. piscia e sopravvive.
lo scrittore non è veliero da bottiglia
la sua parola è acido che brucia
il suo cuore è tamburo che risveglia.
quando scrive, scrive di getto
scrive per vivere di scrittura
per vuoto, per ansia, per paura
come chi osserva da lontano un uragano
e vi scorge un miraggio rannicchiato
nella pupilla del suo tempo muto.

(Tratta da "Intuizioni d’ascolto", inedito 2014)

il fischio del treno

sciamana concubina dell’inverno
faccio poesie e nulla so fare meglio.
nuda la rabbia quando il raccolto ho perso
eco acuta di treno che mi lasciava
passeggera d’un amore inchiodato
al binario di una stazione secondaria.
la vista muta del tuo andare
l’ultima carezza a coprirti dal pallore
poi qualcosa finalmente ti colpiva
ma non certo versi, minacce e promesse
piuttosto il secco frangersi del sole
su cieli tersi prima del tuo partire.

(Tratta da "Intuizioni d’ascolto", inedito 2014)

Carla de Falco, napoletana, da quarant’anni, si è laureata in Lettere con una tesi sulla poesia italiana delle origini. Poi si è specializzata in studi aziendali, economici e dello sviluppo. A ventisei anni è entrata in azienda, come formatrice e manager delle Risorse Umane, specializzandosi presso le maggiori Business School italiane in comunicazione e gestione delle competenze. A trentacinque anni ha lasciato senza troppi rimpianti la carriera manageriale, per vocazione all’insegnamento ed all’attività letteraria.
Per scelta, oggi insegna Italiano e Latino al Liceo, in una periferia a rischio. Si alza alle cinque del mattino, guadagna pochissimo e le va bene così.
E’ sposata, madre, scrive per esigenza di dialogo con la vita, vivendo la poesia come atto supremo di libertà.
Membro di varie giurie letterarie, ha vinto numerose selezioni editoriali e altrettanti concorsi poetici, ottenendo premi e riconoscimenti anche prestigiosi, in alcuni casi internazionali.
Le pubblicazioni antologiche che riportano sue poesie sono, allo stato, una cinquantina. Per esempio, è tra gli haijin di Hanami, Inverno (Edizioni della Sera, 2012) ed è inserita nel volume "Evoluzione delle forme poetiche - La migliore produzione poetica dell’ultimo ventennio", a cura di Antonio Spagnuolo (Edizioni Kairòs, 2013). Ha pubblicato a Milano la sua prima silloge "Il soffio delle radici" (Laura Capone Editore, 2012) che ha vinto il Premio Hombres (nel 2012, come inedito) e l’Alexandria Scriptori Festival (nel 2013, come miglior testo poetico edito). A maggio del 2013 è uscita la sua seconda opera, vincitrice del premio Solaris: "La voce delle cose" (Montag Edizioni, 2013). La sua silloge "Intuizioni d’ascolto" ha vinto, nel 2014, la IX edizione del Premio Artistico Letterario Internazionale Napoli Cultural Classic ed è stata integralmente pubblicata nell’Antologia del premio (Albus Edizioni). Sempre nel 2014 la sua silloge d’impegno civile "Il momento che separa" è risultata vincitrice all’unanimità della menzione speciale Felix per la Campania nell’ambito del Festival Virtuale del Libro e delle Culture in Campania.
Nessuna delle sue pubblicazioni è stata realizzata con contributo a carico dell’autrice.

lunedì 11 agosto 2014

Anita Napolitano, "profetessa solinga"

Accogliamo volentieri la voce poetica di Anita Napolitano, romana, impegnata da tempo nella poesia e soprattutto nel teatro. Una poesia forte e accorata, una poetessa sensibile che sa denunciare le nefandezze e le ingiustizie del nostro mondo con gli eleganti e ironici versi - fortemente allusivi - di "Profetessa solinga". Ma una poetessa sensibile, e molto, anche nell'ambito più strettamente familiare, e nelle considerazioni sugli affetti e sull'amore. Una poesia che sgorga dal cuore, ma bene imbrigliata e "lavorata", grazie alla sua grande esperienza letteraria e teatrale.

Nel riportare qui di seguito tre delle sue poesie più significative della sua ultima produzione, come sempre, invitiamo gli amici lettori, amanti della buona poesia, ad aggiungere eventuali e gradite ulteriori riflessioni.

Profetessa solinga

O leggiadra luna,
che ti trastulli senza tempo
nel petto del colle,
tu che sorgi a illuminare il buio,
mille cose tu sai, mille cose discopri.
Astro d'argento
che nelle smeraldine acque approdi,
testimone onnipresente di fuochi fatui
e di amori imperituri,
non crogiolarti nei fasti lusinghieri.
Questa notte ti ucciderò,
Je vous tire vers le cœur
già vedo il rivolo di sangue
su quelle tue labbra bianche.
Questa notte ti ucciderò,
Je vous tire vers le cœur
così più non sarai l’immortale Dea,
dondolerai ferita
tra il neonato sangue dei bambini morti.
Super donna, profetessa solinga e muta
in questo breve peregrinare
presta il tuo sordo orecchio,
ascolta le urla singhiozzanti dei tuoi figli,
metti a dormire le vergini puttane,
che solo in cielo sanno brillare.
Informa l’occhio orbo di Dio
del marcio che c’è in terra.

Letto 23
(Dedicata a mio padre malato terminale)

Ed è lì nel verde che si erge il cipresso
dove in diagonale parlottano gli alberi
e le rondini di mezza primavera
fitte, fitte e insieme cambiano rotta
disegnando nel cielo cerchi di vita.
Ed è lì tra pareti d’arancio
e barelle di ghiaccio, tra il soffio
che separa i vivi e i morti
che pensieroso Crono è seduto.
Ed è lì tra l’incessante passo
del camice bianco
e i fili rossi si sangue che lascerò
decidere agli occhi
se guardare nelle pupille il nero.
Ed è lì, nel viale del dolore
al crocevia della sofferenza
dove il pensiero si inabissa
la lingua mozza spezza le parole e l’alfabeto diventa muto
che fletterò le mie ginocchia.
Ed è lì che lascerò decidere alle lacrime
se scendere o meno.
Sentinella a guardia del tuo gracile corpo
non aspetterò trepidante il cambio
non indosserò la livrea del dolore
ti regalerò le mie carezze e i miei sorrisi.
Pà guarda il campo verde,
è lì che la cornacchia gracchia
e il figlio suo zompetta in cerca di cibo.
Oggi il sole acceca e l’azzurro del cielo
sbatte contro il vetro della finestra chiusa,
vieni dammi la mano,
quella tua mano livida e rugosa,
letto 23 lasciamoci alle spalle
la condanna del nero.


Letto disfatto

Imposte dal vento sbattute,
vacilla la mente ubriaca,
riaffiora il ricordo nebbioso
di notti andaluse.
La firma del tempo
sui rami protesi,
un fiore appassito,
un disco incagliato,
la nostra canzone.
Il lampo invade la terra
e piove sui pini allineati,
ritorna il travaglio
l’inchiostro trabocca,
stropiccio le carte
e getto la colpa.
Vacilla la mente ubriaca,
blasfema è la vita,
insegui chi insegue,
insegui chi fugge
mi appello a Testili che gira la ruota.
E scende la notte
e Ecate guarda
sibila il vento,
riaffiora il ricordo,
singhiozza il pensiero,
e si veste di nero.
Pungente è il dolore
di un letto disfatto,
di giochi proibiti
di un amore andato,
e mai più ritornato,
di un cuore squarciato
deluso e tradito,
in un letto vissuto, amato,
e alla fine ingiallito.

Anita Napolitano è nata a Roma, città in cui vive e lavora. Si è laureata in Scienze umanistiche all’Università La Sapienza di Roma con una tesi di antropologia sociale dal titolo “Il rito, il teatro, lo spettacolo”. Nel 2003 ha frequentato alla Sapienza il laboratorio del Prof. e Psichiatra Ferruccio Di Cori, “Teatro spontaneo delle emozioni”. Nel 2004 ha partecipato, in ambito universitario, al laboratorio di teatro e psichiatria a cura del Prof. Michele Cavallo collaborando alla messa in scena di un classico rivisitato sul tema della follia.
Il laboratorio teatrale si è svolto principalmente dentro una struttura psichiatrica a stretto contatto con la quotidianità dei pazienti, incontrando il loro modo di essere attraverso il training teatrale condiviso. Nel 2007 debutta come attrice al Teatro Accademia Indipendente con lo spettacolo dal titolo “Casa di Bambola” di Herik Ibsen per la regia di Rosanna Malfarà nel ruolo della Sig. Linde.
Sempre nel 2007 frequenta il laboratorio di scrittura creativa a cura del Prof. Annio Stasi e della Prof.ssa Mary Tortolini (i quali propongono una ricerca didattica originale, una metodologia innovativa sul rapporto tra immagini e scrittura utile per riflettere sui processi di formazione del linguaggio) e partecipa come interprete  allo spettacolo “Volti nel Tempo” messo in scena presso il Teatro Ateneo della Sapienza. Ha pubblicato due libri di poesia: “ Il Trionfo di Galatea” (Edizioni Progetto Cultura) e "Fuorvianti Parvenze" (Ed. Estro-Verso – collana Equi-libri). Ha scritto vari testi teatrali tra i quali ricordiamo : “Il monologo“ Beatrice Cenci – la notte prima di essere decapitata, già rappresentato nella prestigiosa cornice di Castel Sant’Angelo dall’attrice Valeria Zazzaretta e "Il sano delirio di Don Chisciotte della Mancia", opera teatrale rappresentata al teatro Anfitrione di Roma. Ha vinto numerosi premi letterari, da ultimo ricordiamo il primo premio "Giacomo Leopardi".


Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà