domenica 14 settembre 2014

La forza della natura nella poesia di Agostina Spagnuolo

Abbiamo avuto la fortuna e il piacere, lungo il nostro percorso poetico, di conoscere e di apprezzare molti poeti irpini di valore. Tra questi, la voce sicura e determinata di Agostina Spagnuolo, poetessa, scrittrice e saggista di Capriglia Irpina, è degna di ulteriore attenzione. La sua poesia è infatti molto legata e ispirata non solo al mondo contadino, alle virtù e ai valori ad esso collegati, ma anche alle problematiche sociali e dovunque vengano calpestati i diritti e la dignità dell'uomo e della donna. Una poesia forte, accentuata attraverso immagini vivide ed espressa con un dettato poetico gradevolmente lirico.

I nostri attenti lettori sapranno aggiungere altre gradite osservazioni in merito a questi versi di Agostina Spagnuolo.

L’attesa

Coltivammo sogni
là, seduti sul bordo del ruscello
mentre calava il sole della sera.
Le membra
piegate alla fatica
trovarono ristoro
nello scorrer d’acqua
che segnava l’ore.
Aspri tra le mani  ruvide
tormentammo i sassi
e con la rabbia dei nostri anni
freschi e coraggiosi
li scagliammo in acqua
che ne facesse perle come d’avorio
lisci.
Polipòdi e felci
udirono il lamento
di chi cercava fiori
sulla sua via.
Non attendemmo l’alba
non si poteva!
Affrettammo il passo
perché il buio già incombeva.
Tornammo a casa
ad attendere il risveglio.

Al tavolo del baro

Ha gettato l’asso di picche
la vecchia dagli occhi di fuoco
sul tavolo verde del gioco del baro,
Medusa dai capelli di serpi,
sogghigno tra i denti di strega,
a deridere il re di fiori, appassiti,
e la regina di cuori, banali.
Ballano danze intorno al falò
folletti notturni.
Tetra la sala da gioco 
è accessibile solo a chi sa scoprire
la formula magica,
carpita la parola d’ordine
presso il Grande Palazzo.
Al “Castello” – kafkiana memoria-
è nascosta in prezioso baule
la chiave d’accesso al gioco d’azzardo.
Trame filate da vedove nere
neanche Excalibur,
fantozziana impresa all’automassacro,
può fendere.
Basta meno.
Basta togliere dal mazzo di carte
i fiori appassiti e i cuori banali.

Un filo d'avorio

Nell’ebano dei tuoi capelli
mi turba un filo bianco
come d’avorio,
bambino mio.
Troppo presto s’annuncia
la sera che verrà.
Forse ogni tempo
è alba e già tramonto?

Arlecchino spento

Non si contano più.
Sul lenzuolo ocra
di sabbia e sassi,
rivoli di vita

rossi
come gli abiti lacerati
sulla strada
percorsa a metà;

di fuoco
come gli occhi
che sobbalzano, la notte,
al tuono delle bombe;

scarlatti
come braccia di madre
che sulla pietra bianca
del dolore
stringono i sogni perduti;

vermigli
come la vergogna
che dipinge i cieli
di tutte le terre
dove altri hanno deciso
la sorte di tanti.

Scalzo tra le foglie,
udii  gemiti dal pioppo
pulsanti di sgomento.

Scivolarono dalle mie dita
tutti i colori. 

Stracci

Deposi all’ombra del ciliegio
i brandelli del buon vivere
barattati nel viale degli incontri
con stracci di pensieri
ricuciti a lembi di speranza:
le  giornate sghembe
le sfumature grigie
le mattinate lente
le lacrime inghiottite.
Indossai i colori del sole
sulle vesti nuove.
Dissotterrai il mio coraggio.
E lo abbracciai.

Sulla frontiera del compiuto
(in ricordo di Piergiorgio Welby)

Prigioniera la mente
nello spazio immoto
di un corpo
confinato per sempre
vuole andare
libera
non più  incagliata
per volare
al di là
del materiale
affrancata
nell’estremo distacco
oltre i confini
della prova
amara
or che tutto è vissuto
or che tutto è pensato
oltre la speranza
sulla linea di passaggio
alle colonne d’Ercole
dell’esistere.
Ricerca d’assoluto
sulla frontiera del compiuto
verso l’Incognita
Infinita.

Girasoli

Sono rimasta ad ascoltare gli uccelli,
stamani.
Hanno violato i sigilli della notte
col frullare chiassoso delle piume.
Hanno salutato il giorno
con un canto nuovo
o forse no.
Dai girasoli dei pensieri
ho strappato i petali, a uno a uno,
delle mie amarezze.

(Dalla silloge Volevo guardare il mare, Per- Versi, 2009)

***

INEDITE

Case senza porte,
gli specchi delle stanze dicono segreti,
gli stessi dello scrigno, nostro sudario di marmo.
Onde a fasi alterne sul filo della vita:
noi, riflessi di nodi sull’acqua.
Domande sulla corrente dell’andare, vane.
Un solco di lacrime sul viso,
lo sguardo all’altra via.

 *
Occorre plasmare questo nostro pensare,
nell’immanente matematica inesatta,
alle variabili dell’imprevisto, punti
d’intersezione come siamo, in balia
delle funzioni spazio-temporali. Siamo
i calanchi erosi dalle sferzate della
pioggia, che ci trasforma in ghiaia,
sorretti da fili sottili invisibili,
appesi alla balaustra affacciata
sul precipizio. È la spina dorsale
del pensiero che ci afferra in volo,
ci appoggia al parapetto limaccioso
e riprendiamo a risalire i pioli.

*
È da cercare un punto di equilibrio
da dove trattenere il senso come
all’andirivieni della risacca dove
è il canto del mare che va e viene
e viene e va…

*
Cariosside beccata da rondini,
liquefatta come il sangue
di sangennaro in una bolla d’aria secca,
qualcuno ha chiuso a chiave il cuore, un muro
ammuffito. Quello della stanza accanto
è l’eco di un flauto che percuote i timpani.
La cenere caduta al tavolino del caffè,
incantati su balaustre di legno,
incapaci di piantare grane
o di stare in equilibrio persino sulla bici,
si sta sul grido del vento e la prigione del cuore.

*
È pane rubato
il pane bruciato
uomini in fuga
braccia in alto levate
disperati quei volti
è carne umana
in brandelli
che colpa hanno i bimbi
chi armò quelle mani
miseria è rimasta
dei campi di grano…

(agosto 2014)

*
Ormai
il tempo della poesia
è un abito dismesso
appeso
penzoloni
al gancio su in soffitta.
È un rivolo il cuore
smarrito
come, in lontananza,
all’offesa del primo amore.
È fuggita la poesia,
ingoiata nel caos di ritorno.
Il mondo è matto.
Ed io mi sono persa.

(agosto 2014)

Agostina Spagnuolo (Capriglia Irpina AV, 1951). Laureata in Scienze Biologiche, ha insegnato in scuole medie e superiori della provincia di Avellino. Ha pubblicato la silloge poetica Volevo guardare il mare (2009), il racconto antropologico Di cenere e di pane, un viaggio nella civiltà contadina da Capriglia Irpina a Guardia Lombardi (Premio Speciale della Giuria di Calabria e Basilicata “Il musagete”, 2012). Ha aderito alle raccolte antologiche Rassegna di poeti campani (2009) e Attraverso la città (2011) della casa editrice Scuderi. È presente in numerose antologie legate a premi e rassegne letterarie. Si ricordano, tra le altre: Quaderni di Lìnfera, EPC 2009, Fili di Parole, Perrone, 2010; La polvere e la luna, Delta 3, 2010; Pietre vive 2, Delta 3, 2012; Terra di pane, acqua e amore, Delta 3, 2013; Tra terra e cielo, Il Giglio di Flumeri, Delta 3, 2013; Le radici del linguaggio subalterno, Il Papavero edizioni 2012 e 2013;  Il Federiciano 2013. Premiata in numerosi concorsi letterari, l’opera poetica dell’autrice è recensita in Storia della poesia irpina 2 (a cura di Paolo Saggese), ediz.Delta3, Grottaminarda 2013; in Gradiva, Rivista internazionale di poesia, n.37/38, anno 2010. È in via di pubblicazione il saggio storico Capriglia Irpina, appunti si storia di vita quotidiana dalle origini ai nostri giorni.
L’autrice presta la sua opera di volontariato, in qualità di docente, presso l’Università del tempo libero di Avellino. Collabora con la rivista «Narrazioni Onlus».


giovedì 28 agosto 2014

"All'origine dei sensi" di Piero Mastroberardino

E' proprio vero che il talento creativo, il talento artistico, si manifesta nell'uomo indipendentemente dalla natura della sua attività professionale. Piero Mastroberardino, nome illustre della produzione vinicola irpina di eccellenza, nonché apprezzato manager e professore universitario, è anche pittore e poeta di rilievo. Offriamo qui di seguito ai nostri lettori, ai quali come sempre chiediamo di collaborare pubblicando brevi commenti o riflessioni, alcune sue poesie tratte dal recente libro "All'origine dei sensi", Edizioni Tracce, con prefazione di Plinio Perilli.

Si tratta di un poetare consapevolmente pacato, non privo di un certo ritmo, con un linguaggio diretto e riflessivo, con il quale il nostro autore cerca di affrontare e di esporre i problemi dell'esistenza, soffusa da dubbi e incertezze, ma comunque pregna di amore e di speranza.

Deriva

Un gesto, afferri e sciogli quella cima
e lasci le emozioni
dalle profondità venire a galla
come carcasse gonfie, di naufragio,
e le abbandoni alla deriva
mentre con altre cozzano
per un beffardo gioco di correnti.

Viene il tempo

Viene il tempo in cui scopri
che il mondo non può reggersi da solo,
che se togli i puntelli un muro cade,
che quando crolla il primo c'è un innesco,
che il domino è ben più che un passatempo,
che un'offesa non reca sempre un dolo,
che grotta è preferibile a grottesco,
che il tempo non lenisce le ferite,
che il dolore si spande senza orpelli
e gira e scava a mo' di punteruolo,
che la gioia, di tanto in tanto, invade,
poi fugge, lesta, verso nuove vite.

***

Orizzonte

Sguardo si perde in universo informe
che ingurgita i miei sensi.
Risacca
osservo mentre scava attorno ai piedi.
Mi lascio risucchiare.
Quel moto si fa più resistente
nel sommergere satura lo spirito.
E' il vuoto che tracima
così gonfio da togliere il respiro.
Socchiudo l'occhio
ora si perde...
in mare.

***

Sommesso

Sorriso spento.
Sole che non sorge.
Solco arido
trancia in un affondo
dorso di mulo
duro come argilla.
Liquidi non rilascia
la ferita.
Un rivo trasparente
appena nato
azzarda quasi
a ruzzolare a valle.
Prosciuga ai primi passi
debolmente.
Neppure prova
a conquistare il guado.

***

Bassifondi

Scudisciate di luce inabissate,
suoni, rumori,
urla strazianti, voci deformate,
strozzate nella gola a malapena.
Viaggio sofferto, da epoca trascorsa.
L'ignoto si concede, decadente,
e con annuncio gelido va in scena.
Stringe senza misura, unica morsa,
sogni e timori.
Poi stronca i palpiti... è un sol fendente.

(Poesie tratte dal libro "All'origine dei sensi", Edizioni Tracce, 2014)

Piero Mastroberardino nasce ad Avellino nel 1966. E' professore ordinario in discipline manageriali. Parallelamente cura con la famiglia le attività di viticoltura e di produzione di vini pregiati d'Irpinia. Dal 1993 ha pubblicato circa cento lavori scientifici su riviste e collane editoriali nazionali ed internazionali, nel campo delle discipline manageriali. Si dedica fin da piccolo al disegno e alla pittura, e in seguito, alla narrativa e alla poesia.
Nel 2011 ha pubblicato il romanzo "Umano errare" ed è in corso di realizzazione un suo nuovo romanzo. Ha realizzato alcune mostre personali dei propri disegni in Italia, e sono in preparazione alcuni eventi espositivi nazionali ed internazionali.

sabato 16 agosto 2014

Carla de Falco, "sciamana dell'inverno"

"Faccio poesie e nulla so fare meglio", ribadisce Carla de Falco in una delle sue poesie che volentieri pubblichiamo qui di seguito. Si tratta di una impellenza che troviamo in molti poeti, anzi quasi tutti, ma in Carla de Falco questa impellenza è ben misurata, ragionata, lavorata; il suo dire è quasi provocatorio, teso a sommuovere quel velame di ignavia e di falso perbenismo che avvolge l'uomo/poeta nella sua quotidianità, offuscata e degradata da valori banali ("il cielo gualcito dalle nubi"). E' una poesia diretta, scritta con la necessità di scriverla, ma anche ricca di contenuti ed espressa con un linguaggio forte e deciso.

Ma lasciamo agli amici lettori che ci seguono altre eventuali interessanti riflessioni sulla poesia della nostra amica napoletana Carla de Falco.

seduta

e me ne sto così
seduta
nel ventre dell’umana mia giornata
l’odore di caffè bruciato vivo
il cielo gualcito dalle nubi
il suono del domani appeso a un chiodo.
è un po’ di tempo che me ne sto così
seduta
ricordando il senso delle mani
che cercavano approdo nel tuo corpo
invocando una riva o un ancoraggio.
eh sì, ormai io sto così
seduta
a sperare che il chiodo regga ancora
e dia tempo ad una nuova vela
di illuminarsi dietro l’orizzonte.

(Tratta da "Il soffio delle radici", Laura Capone Editore 2012)

l’istante prima della pesca

il silenzio rotto da una lenza
è un fischio nell’azzurro imperturbato
un graffio che lascia l’aria tersa
un lampo che s’inchioda in nuovo pianto.
in un punto come un altro, estratto a sorte,
in quel punto ancora brulicano pesci
ma, cieca, la vita è già un riflesso.

(Tratta da "Il soffio delle radici", Laura Capone Editore 2012)

la brezza viola della sera

e l’aria muove le cose
cocci malfermi di case
chiodi ficcati nella terra
frutti di resistenza
onde parate a festa
e note di rosarancio.
con saggissimo orgoglio rifletto
sul dispotismo mite del cielo
l’azzurro muore e si fa viola
il giorno nella sera trascolora.
non è per tutti, la poesia.

(Tratta da "La voce delle cose", Montag Edizioni 2013)

sipario

allunga le sue ombre
sorge e copre
come dismessa veste
il mare dissanguato
gli orecchi intorpiditi
i calici violati.
induce sottrazione
misura l’intervallo
tra oniriche distanze
e caotiche coscienze.
ha sapore di frontiera
a sud, la sera.

(Tratta da "La voce delle cose", Montag Edizioni 2013)

tempo muto

tra balbettii senza senso
e pruriti ai minori vietati
i più stanno a grattarsi per ore
la rogna di idee riciclate.
chiedo scusa dell’ironia stuprata
ma in verità solo chi scrive scrive.
il resto piscia. piscia e sopravvive.
lo scrittore non è veliero da bottiglia
la sua parola è acido che brucia
il suo cuore è tamburo che risveglia.
quando scrive, scrive di getto
scrive per vivere di scrittura
per vuoto, per ansia, per paura
come chi osserva da lontano un uragano
e vi scorge un miraggio rannicchiato
nella pupilla del suo tempo muto.

(Tratta da "Intuizioni d’ascolto", inedito 2014)

il fischio del treno

sciamana concubina dell’inverno
faccio poesie e nulla so fare meglio.
nuda la rabbia quando il raccolto ho perso
eco acuta di treno che mi lasciava
passeggera d’un amore inchiodato
al binario di una stazione secondaria.
la vista muta del tuo andare
l’ultima carezza a coprirti dal pallore
poi qualcosa finalmente ti colpiva
ma non certo versi, minacce e promesse
piuttosto il secco frangersi del sole
su cieli tersi prima del tuo partire.

(Tratta da "Intuizioni d’ascolto", inedito 2014)

Carla de Falco, napoletana, da quarant’anni, si è laureata in Lettere con una tesi sulla poesia italiana delle origini. Poi si è specializzata in studi aziendali, economici e dello sviluppo. A ventisei anni è entrata in azienda, come formatrice e manager delle Risorse Umane, specializzandosi presso le maggiori Business School italiane in comunicazione e gestione delle competenze. A trentacinque anni ha lasciato senza troppi rimpianti la carriera manageriale, per vocazione all’insegnamento ed all’attività letteraria.
Per scelta, oggi insegna Italiano e Latino al Liceo, in una periferia a rischio. Si alza alle cinque del mattino, guadagna pochissimo e le va bene così.
E’ sposata, madre, scrive per esigenza di dialogo con la vita, vivendo la poesia come atto supremo di libertà.
Membro di varie giurie letterarie, ha vinto numerose selezioni editoriali e altrettanti concorsi poetici, ottenendo premi e riconoscimenti anche prestigiosi, in alcuni casi internazionali.
Le pubblicazioni antologiche che riportano sue poesie sono, allo stato, una cinquantina. Per esempio, è tra gli haijin di Hanami, Inverno (Edizioni della Sera, 2012) ed è inserita nel volume "Evoluzione delle forme poetiche - La migliore produzione poetica dell’ultimo ventennio", a cura di Antonio Spagnuolo (Edizioni Kairòs, 2013). Ha pubblicato a Milano la sua prima silloge "Il soffio delle radici" (Laura Capone Editore, 2012) che ha vinto il Premio Hombres (nel 2012, come inedito) e l’Alexandria Scriptori Festival (nel 2013, come miglior testo poetico edito). A maggio del 2013 è uscita la sua seconda opera, vincitrice del premio Solaris: "La voce delle cose" (Montag Edizioni, 2013). La sua silloge "Intuizioni d’ascolto" ha vinto, nel 2014, la IX edizione del Premio Artistico Letterario Internazionale Napoli Cultural Classic ed è stata integralmente pubblicata nell’Antologia del premio (Albus Edizioni). Sempre nel 2014 la sua silloge d’impegno civile "Il momento che separa" è risultata vincitrice all’unanimità della menzione speciale Felix per la Campania nell’ambito del Festival Virtuale del Libro e delle Culture in Campania.
Nessuna delle sue pubblicazioni è stata realizzata con contributo a carico dell’autrice.

lunedì 11 agosto 2014

Anita Napolitano, "profetessa solinga"

Accogliamo volentieri la voce poetica di Anita Napolitano, romana, impegnata da tempo nella poesia e soprattutto nel teatro. Una poesia forte e accorata, una poetessa sensibile che sa denunciare le nefandezze e le ingiustizie del nostro mondo con gli eleganti e ironici versi - fortemente allusivi - di "Profetessa solinga". Ma una poetessa sensibile, e molto, anche nell'ambito più strettamente familiare, e nelle considerazioni sugli affetti e sull'amore. Una poesia che sgorga dal cuore, ma bene imbrigliata e "lavorata", grazie alla sua grande esperienza letteraria e teatrale.

Nel riportare qui di seguito tre delle sue poesie più significative della sua ultima produzione, come sempre, invitiamo gli amici lettori, amanti della buona poesia, ad aggiungere eventuali e gradite ulteriori riflessioni.

Profetessa solinga

O leggiadra luna,
che ti trastulli senza tempo
nel petto del colle,
tu che sorgi a illuminare il buio,
mille cose tu sai, mille cose discopri.
Astro d'argento
che nelle smeraldine acque approdi,
testimone onnipresente di fuochi fatui
e di amori imperituri,
non crogiolarti nei fasti lusinghieri.
Questa notte ti ucciderò,
Je vous tire vers le cœur
già vedo il rivolo di sangue
su quelle tue labbra bianche.
Questa notte ti ucciderò,
Je vous tire vers le cœur
così più non sarai l’immortale Dea,
dondolerai ferita
tra il neonato sangue dei bambini morti.
Super donna, profetessa solinga e muta
in questo breve peregrinare
presta il tuo sordo orecchio,
ascolta le urla singhiozzanti dei tuoi figli,
metti a dormire le vergini puttane,
che solo in cielo sanno brillare.
Informa l’occhio orbo di Dio
del marcio che c’è in terra.

Letto 23
(Dedicata a mio padre malato terminale)

Ed è lì nel verde che si erge il cipresso
dove in diagonale parlottano gli alberi
e le rondini di mezza primavera
fitte, fitte e insieme cambiano rotta
disegnando nel cielo cerchi di vita.
Ed è lì tra pareti d’arancio
e barelle di ghiaccio, tra il soffio
che separa i vivi e i morti
che pensieroso Crono è seduto.
Ed è lì tra l’incessante passo
del camice bianco
e i fili rossi si sangue che lascerò
decidere agli occhi
se guardare nelle pupille il nero.
Ed è lì, nel viale del dolore
al crocevia della sofferenza
dove il pensiero si inabissa
la lingua mozza spezza le parole e l’alfabeto diventa muto
che fletterò le mie ginocchia.
Ed è lì che lascerò decidere alle lacrime
se scendere o meno.
Sentinella a guardia del tuo gracile corpo
non aspetterò trepidante il cambio
non indosserò la livrea del dolore
ti regalerò le mie carezze e i miei sorrisi.
Pà guarda il campo verde,
è lì che la cornacchia gracchia
e il figlio suo zompetta in cerca di cibo.
Oggi il sole acceca e l’azzurro del cielo
sbatte contro il vetro della finestra chiusa,
vieni dammi la mano,
quella tua mano livida e rugosa,
letto 23 lasciamoci alle spalle
la condanna del nero.


Letto disfatto

Imposte dal vento sbattute,
vacilla la mente ubriaca,
riaffiora il ricordo nebbioso
di notti andaluse.
La firma del tempo
sui rami protesi,
un fiore appassito,
un disco incagliato,
la nostra canzone.
Il lampo invade la terra
e piove sui pini allineati,
ritorna il travaglio
l’inchiostro trabocca,
stropiccio le carte
e getto la colpa.
Vacilla la mente ubriaca,
blasfema è la vita,
insegui chi insegue,
insegui chi fugge
mi appello a Testili che gira la ruota.
E scende la notte
e Ecate guarda
sibila il vento,
riaffiora il ricordo,
singhiozza il pensiero,
e si veste di nero.
Pungente è il dolore
di un letto disfatto,
di giochi proibiti
di un amore andato,
e mai più ritornato,
di un cuore squarciato
deluso e tradito,
in un letto vissuto, amato,
e alla fine ingiallito.

Anita Napolitano è nata a Roma, città in cui vive e lavora. Si è laureata in Scienze umanistiche all’Università La Sapienza di Roma con una tesi di antropologia sociale dal titolo “Il rito, il teatro, lo spettacolo”. Nel 2003 ha frequentato alla Sapienza il laboratorio del Prof. e Psichiatra Ferruccio Di Cori, “Teatro spontaneo delle emozioni”. Nel 2004 ha partecipato, in ambito universitario, al laboratorio di teatro e psichiatria a cura del Prof. Michele Cavallo collaborando alla messa in scena di un classico rivisitato sul tema della follia.
Il laboratorio teatrale si è svolto principalmente dentro una struttura psichiatrica a stretto contatto con la quotidianità dei pazienti, incontrando il loro modo di essere attraverso il training teatrale condiviso. Nel 2007 debutta come attrice al Teatro Accademia Indipendente con lo spettacolo dal titolo “Casa di Bambola” di Herik Ibsen per la regia di Rosanna Malfarà nel ruolo della Sig. Linde.
Sempre nel 2007 frequenta il laboratorio di scrittura creativa a cura del Prof. Annio Stasi e della Prof.ssa Mary Tortolini (i quali propongono una ricerca didattica originale, una metodologia innovativa sul rapporto tra immagini e scrittura utile per riflettere sui processi di formazione del linguaggio) e partecipa come interprete  allo spettacolo “Volti nel Tempo” messo in scena presso il Teatro Ateneo della Sapienza. Ha pubblicato due libri di poesia: “ Il Trionfo di Galatea” (Edizioni Progetto Cultura) e "Fuorvianti Parvenze" (Ed. Estro-Verso – collana Equi-libri). Ha scritto vari testi teatrali tra i quali ricordiamo : “Il monologo“ Beatrice Cenci – la notte prima di essere decapitata, già rappresentato nella prestigiosa cornice di Castel Sant’Angelo dall’attrice Valeria Zazzaretta e "Il sano delirio di Don Chisciotte della Mancia", opera teatrale rappresentata al teatro Anfitrione di Roma. Ha vinto numerosi premi letterari, da ultimo ricordiamo il primo premio "Giacomo Leopardi".


lunedì 24 marzo 2014

Il "ticchettio del tempo" nelle poesie di Melania Panico

Le poesie che proponiamo qui di seguito, tratte dalla silloge inedita "Dal nero in poi", sono di una giovane poetessa napoletana, conosciuta in occasione di una rassegna poetica da me organizzata qui a Sant'Anastasia. L'autrice si chiama Melania Panico. Devo dire però che la Panico già si distinse nella undicesima edizione del Concorso Nazionale di Poesia "Città di Sant'Anastasia", nel dicembre scorso, ricevendo una menzione di merito nella sezione "Autori del territorio". Confermo la bontà dei suoi scritti, rapidi, incisivi, a volte persino taglienti. Si può notare, leggendo i suoi versi, una certa autoreferenzialità, ma un'autoreferenzialità positiva, in quanto è lei stessa che prende l'abbrivio dal suo sentire intimo, dal suo accorgersi del tempo che passa su di sé, che vorrebbe far "appassire sul muretto delle negazioni", per poi offrire al lettore una possibile via di fuga, verso un "fuori" dove trovare il vero senso della vita. Una poesia forte, quella di Melania Panico, oserei dire coraggiosa, perché severa con se stessa, e quindi una poesia autentica, che esprime senza giri oziosi il proprio stato d'animo, profondamente turbato da quel "tempo" che quasi vorrebbe fermare, estraniare. Una poesia che urge, che ha fretta di dirsi e di dire, ma nello stesso tempo una poesia misurata e curata nei termini, nella modalità espressiva.
Direi che la nostra giovane poetessa ha buone carte da giocare, in poesia, e sicuramente affinerà e approfondirà ancora il suo dettato poetico, come merita e come le auguriamo sinceramente.

Chiedo quindi agli amici che ci seguono di esprimere in proposito un loro gradito commento.

(Testi tratti dalla silloge inedita "Dal nero in poi", di Melania Panico)

C'è un posto dove il tempo ritorna
ma poi si ferma
come se tra le mani
io avessi un ammasso di alghe
che inghiottono.
Ma non è il cuore
perché anche il cuore invecchia,
si dispera negli anni
insieme al resto
mentre maschera di ribellione
il suo bastone da viandante.

***

Io ho imparato i nomi degli dèi
la loro storia
ho letto i libri senza raccontarli
ci ho pensato di notte
immaginando dialoghi
sottolineando con lo sguardo.
Ho divorato personaggi e
autori
sono diventata Camilla
solo il tempo di un caffé.
Poi si dimentica.
Nel mio vecchio cuore
mascherato da Narciso
è inciso col bisturi
il mio senso
mentre passo
in rassegna
le cicatrici da donna.
Si raggrinzisce il cuore
e non la pelle
e lo specchio
non riflette più bene.

***

Di qua
dal lato degli scogli
aria che frigge,
una morsa di calore.
Non ha soluzioni questo giorno
e il cammino
stringe i passi
come a sacrificarmi.
Di qua
dal lato del mare
l'acqua taglia il respiro
il tempo di un momento.
Non ha soluzioni questo giorno
e le perdo di volta in volta
andando al largo.

***

Eccolo il mare
come distesa vivente
che copre tutto
e dentro, cuori ammassati.
C'è un profumo di piedi scalzi
qui,
davanti al mare
e quasi non m'importa più
di scrivere.
M'immagino mercante
che contratta le sue stoffe
o marinaio lontano da casa
che riga il volto di sale
se ricorda i suoi figli
e la malinconia che ti sveglia
con un senso di vuoto
ti tiene lì, stremato.

***

Fiammifero che brucia,
lento.
Profumo di zolfo nell'aria.
Ho sete negli occhi
di fuoco,
di lasciare che si consumi
anche un po' così,
il tempo.

***

Ho messo ad appassire
il tempo
sul mio muretto delle
negazioni.
Mi sono appoggiata lì,
a riposarmi dalla fatica
del silenzio
ma lui resiste,
il tempo,
sono io che appassisco,
scavata in viso
dalla luce del sole.
Potrei svanire.
Dovrei.

***

Il poeta è un folle
scrive solo per sé
e basta.
Scrive per capire
di che colore sia
l'anima
se rosa e grigia
o nera e rossa
come un libro di Stendhal,
come chi sa leggerlo.

***

In tutto quello che scrivo
c'è sempre la parola
"tempo"
come un timbro
una soluzione
una mortificazione
la scelta della vita
il resto da dare a me.

***

Le mie poesie
sono come ragnatele,
attirano pensieri
e poi si sciolgono nel nulla
di una giornata di pioggia
e la penna è una miccia
che infiamma il foglio
fino a bruciarlo.
Le parole restano asciutte
eppure inveiscono contro il cuore
anche quando mi sembra
di non averne più.
Tenera carne la mia:
si spacca al sole.

***

Mi hanno rinchiusa qui
con i rintocchi dei pranzi
a limitare il tempo
e non so più se questo corpo
è reale
o se
l'hanno inventato per dare un senso al tutto.
Mi accoccolo
in un cantuccio sterile
come un ventre
e non attendo altro
perché ho lasciato i segni agli altri.

***

Non so se posso permettermi
il lusso
di lasciarmi appassire
dolce pensiero
di abbandonare il corpo
agli anni.
Frastornata dal ticchettio
del tempo
uso il verbo
"frantumare",
valico tra me e me.

***

Volevo diventare gabbiano
O stella o sole
Per guardare sotto di me
Senza avere paura
Senza brividi di vertigine oscura,
ma sono diventata mano,
occhi, cuore
per strappare dalla terra un grido e dargli forma
e vestirlo
e chiamarlo me.

Melania Panico è nata a Napoli nel 1985 e vive a S.Anastasia.
Appassionata di poesia e letteratura, è laureata in Filologia Moderna. Ha lavorato in una casa editrice napoletana come responsabile delle proposte editoriali e ha curato l’uscita di alcuni testi. Insegna italiano e latino ma ha deciso al momento di dedicarsi totalmente alla sua passione, di svilupparla e darle spazio. Alcuni suoi testi sono stati pubblicati in antologie. Ha partecipato a diversi reading di poesia.


domenica 2 febbraio 2014

Le "Entropie" di Rosemily Paticchio

"Entropie" è una recente silloge della poetessa Rosemily Paticchio, pubblicata in Ebook da "La Recherche.it", un sito frequentatissimo e molto interessante di cultura poetica e letteratura. Avevamo già preso in considerazione, un po' di tempo fa, la poesia della leccese Rosemily Paticchio, proponendo i suoi testi tratti da "Incipio" (L'Arca Felice Edizioni), ma volentieri ripresentiamo ora la sua opera, e ne siamo onorati.
Proponiamo qui di seguito soltanto due brani tratti dalla silloge, che si potrà liberamente scaricare sul sito de "La Recherche": http://www.larecherche.it/librolibero_ebook.asp?Id=153.
Rosemily Paticchio conferma con questa sua nuova silloge la sua particolare attitudine a inglobare in una sola grande sfera la vita del cosmo e la vita dell'uomo nel suo piccolo; il contingente, umano, caduco, quotidiano, è illuminato e sostenuto dalla forza del cosmo, che con la sua "entropia" tende all'equilibrio termodinamico e quindi anche psichico del mondo, della natura e dell'uomo. La piccolezza umana si impreziosisce e può così anche ingigantirsi, quando l'integrazione uomo-cosmo diviene totale e realizzante ("sigillano l’unione del Cielo e della Terra").

I versi della Paticchio riflettono ne loro andamento ritmico questa luce e questi spazi siderei. Ma a questo punto lascerei ai lettori della nostra rubrica altri interessanti spunti di riflessione o graditi commenti.

ENTROPIE (del Sistema Astrale) di Rosemily Paticchio
Opere pittoriche tratte da “Universo” di Sara Giantin
Libri liberi-collana Ebook LaRecerche Edizioni (gennaio 2014)

Anestetica tregua

Nel celarsi di spazi intorpiditi
sonnecchianti su morbidi cuscini
l’aria oscura da tappeti erbosi
domina silenti corpuscoli
apre le serrature fioche
a striature gitane di luce
che tra balze di gonne
incorniciano il vuoto celeste
finché il posto non sarà dell’upupa
notturna sui tetti di legno
i cigolii trafiggono l’intonaco deserto
per quel cielo che sarà sonnambulo
dorme un po’ in transito la schiera angelica
scalzata sul loggione del tempio.
A breve non ci sarà trave che regga
il quadrato delle plumbee stanze
e nuova aria bollente precipiterà
dalle soffitte dismesse
mentre i funamboli restano ancora incerti
se sostare una volta - almeno
sui fili del buio intermittente
o annunciare la fine latente
di anestetica tregua. 

***

Danzalaluna

Danzalaluna in scivolosa liquida emisfera
frastaglia un fuocherello che vuol essere
Ballata Eterna con i tamburi.
Pregano invocano sintonie frenetiche
sussurrano misteriose distanze
invase dal cicalio delle stelle
sigillano l’unione del Cielo e della Terra
vi rivolgono riflessi spenti
a una platea in silenzio
che vanno cantati all’impazzata
tratti a percussioni.
Danzano in rivolta i venti
nell’indistinto brusio d’un equinozio
Danza la luna e la tribù delle Pleiadi volanti.

Rosemily Paticchio è nata nel 1975 nel Salento, dove ha sempre vissuto conseguendo nel 2002 la Laurea in Beni Culturali, esordisce in campo letterario nel 2012 con la pubblicazione della raccolta poetica “Prima che i germi”, nell’ambito del volume antologico “Retrobottega 2” (CFR Edizioni), con saggio critico del poeta Gianmario Lucini. Successivamente, nello stesso anno, pubblica la plaquette di poesie dal titolo “Incipio” per la collana Coincidenze delle edizioni L’Arca Felice, a cura di Mario Fresa. Negli ultimi anni suoi componimenti sono apparsi in varie antologie di Perrone Editore, altri sono stati pubblicati in volumi antologici di concorsi letterari e nell’ambito dei Premi
“Verba Agrestia 2011” (Lietocolle) e “Dal manoscritto al libro 2010” (Perrone). Nell’ottobre 2013 consegue il Premio Astrolabio per originalità del tema nell’ambito dell’omonimo concorso letterario pisano con la presente silloge inedita “Entropie”. Ha pubblicato racconti sulla rivista per ragazzi “Un due tre stella” (Lupo Editore) e collaborato con artisti operanti sul territorio locale, curando i testi creativi di mostre fotografiche e installazioni. Numerosi suoi contributi  poetici sono apparsi su riviste letterarie e litblogs. Attualmente svolge attività giornalistica collaborando con  testate locali occupandosi dei temi di cultura, ambiente e territorio.


martedì 28 gennaio 2014

Caterina Davinio e la poesia del "disordine"

Felicissimo di ospitare in "Transiti Poetici" i componimenti poetici di Caterina Davinio, una poetessa singolare che affonda senza scrupoli e senza falsi pudori la sua lama poetica diritto nel cuore della vita sua e delle persone che ella scruta, osserva nel dettaglio dei loro gesti anche minimi e usuali. Emerge da questi versi concatenati un amore puro per la verità e per il sentimento, scevro da ogni possibile stereotipo e da ogni sorta di pregiudizio. La poesia è verità essenziale che travalica ogni barriera e ogni impedimento, sprizza comunque viva e solare anche da situazioni che possono sembrare scabrose, inopportune. Ed è così la poesia di Caterina Davinio, un canto che si eleva al di sopra degli schemi quotidiani, con forza e luminosità di immagini.

Gli amici lettori che ci seguono sapranno certamente aggiungere altre importanti riflessioni. 

Il suicida

Sul carro del buio
sedevo a stento
quando la notte
si precipitò su di me come un demone
chiedendomi conto
del mio senso.
Dietro ogni finestra
viveva una famiglia
una luce accesa
e io in strada
prendevo bastonate
dalla mia solitudine
tanto che annichilito
lanciai un grido in me
di stupore
come bestia ferita a tradimento,
e spenta come colui che muore,
che deve morire,
vidi le luci correre
sul Lungotevere
e il buio tutto intorno a me.
Le pietre bianche erano spettrali,
volevano la mia fine
e il destino mi spremeva lacrime
come un mantice, una spugna d'aria,
con mani possenti
prive di pietà.
Me ne andai fuggendo
come l'ultimo respiro
ucciso dal momento,
il nulla graffiava forte
nel baratro dov'ero caduto
più povero che mai
e cieco,
senza forze,
ché anche la notte corre
e ha le sue destinazioni
inconosciute,
mentre la mia finiva lì,
e saltai dal ponte.

(Da: “Il libro del disordine”, in Fatti deprecabili. Poesie e performance 1971 - 1996, Premio Tredici 2014).


Il mio amico Demonion

Dopo una dose
rimanemmo al baretto
del più e del meno,
tu aspirante avvocato,
io aspirante niente,
è che avresti voluto amarmi
per una notte
e io tergiversai
perché la mia notte è capricciosa
e tu famigerato tossico di quartiere
non eri nelle mie corde,
il buio tutto intorno
apriva le sue ali su di noi
dinanzi un bicchiere.
Tu ti disamorasti a stento,
io, io ti avrei voluto per puntiglio
per metterti in un elenco
di tipi strani e significativi,
ma l'intimità mi era avversa,
avversa al mio cuore sterile
innamorato di altre vie.
Così andammo
ognuno al suo destino,
tu ubriaco,
io drogata,
nella notte dei bassifondi
dove ci eravamo cacciati,
scesi dalle nostre case di notai
e professori incapaci
dei propri figli traditi,
per una notte bianca di bianco, stupida,
dove rivendicavi una ballerina da night,
quasi una prostituta,
per un abbraccio caldo,
per un abbraccio da niente
che a te sembrava vita sufficiente,
che ti somministrava quel piacere sovrumano
che un uomo addenta come selvaggio,
ella ti diede sesso senza questioni,
senza promesse,
mentre io che cercavo l'eterno mi persi
nelle disquisizioni
che a un uomo non danno pane
né ventura.
Così finì quella notte
e noi tornammo
in case nemiche,
spenti dalla droga,
entrambi
disamorati dell'amore.

***

Al Piper con Chiara, la mia amica

Al Piper rocambolava la notte
di corpi mossi nell'euforia della danza
lei, la mia amica, era depressa
ella vedeva lungo sul proprio disamore
di spacciatrice tenera,
di lesbica chiusa alle speranze,
desiderosa di veleno.
Nel carambolare del night
tra il rumore assordante
volle un gesto seduttivo per il non amore:
mi regalò un pezzo di fumo
tra due dita
come un fiore,
e poi mise la sua lingua nella mia bocca
mostrandomi quanto può essere dolce
la sponda amara,
e io risposi con la mia lingua
che sapeva il rapimento della notte,
di quei suoni che andavano
a rotta di collo per condurti
agli inferi più dolci.
Fu il momento più bello con la mia amica,
un'icona dell'essere perduti,
andati,
e senza rimorsi né
aspettative per questo futuro avaro di note.
Lei era bella come un uomo
con bicipiti e tatuaggi sfrontati,
lei sapeva farti nascere
la voglia di camminare lungo l'asse d'equilibrio
sul baratro di un mondo perso e scostante, nemico,
lei viveva spericolatamente l'ora, e ti trascinava
nel suo abisso così tenero,
tanto che m'innamorai e presi dell'ora il momento,
le dissi che essere amanti era il progetto
di me incapace di fedeltà
con i ragazzi,
ammalata di siringa e di linee,
d'esperienza, di veleni,
vogliosa di voluttà antica, senza nome.
Ciao, amica mia,
serbo il tuo ricordo
in una fotografia del cuore
che nulla dimentica se non momentaneamente:
finì la notte al Piper
e fummo di nuovo amiche
che nella strada andavano
fianco a fianco
cadendo ad ogni passo verso il perdono,
crollando dove colpisce l'eterno
i nostri passi precari sulla terra.

***

Luna di miele

Noi avventurosi di un giorno
sposi promessi dall'errore
che ci accartocciava come foglie fradicie
sollevando vento
e spremendo desiderio,
spinti dagli eventi andammo
al luna park
sha-na-na-na-naaa!
Questa non è l'America,
è un luna park di poveri,
sulle macchine a scontro
piroettiamo in pista tra le luci
e i soldati di colore
come girandole sbattute dal fuoco,
mi ubriacai e fui sola,
sola con te accanto,
ebbi lividi alle ginocchia mentre rabbiosa
viravo contro l'universo
arrabbiato
e il juke-box suonava:
“Questa non è l'America”
e noi andavamo portandoci sulle onde
il nostro fardello di drogati
di tempo e sole;
era il mare di Serapo,
militari americani in vacanza,
era il tuo amore
che nasce sul mio come l'erba cattiva
che si arrampicava sugli specchi
delle nostre ombre.
Il bar risuonava di quelle note
non è l'America
una parte di me morirà
così cominciò la nostra storia di dannati sposi
con una luna di miele in un luna park
tra le caserme alleate
e due birre in un bar,
per poi tornare nell'auto sgangherata
rombante i suoi tuoni
e ridere,
questa non è l'America,
e mi spezzavo nel niente,
mi dicesti che mostrare
l'amore è vile e vulnerabili ci fa e senza senso,
perdenti e umiliati a noi stessi e all'amato
ma io non seppi nascondere
le mie miserie
la mia povertà di ultima
le mie lacrime di ammalato,
di principiante.
Così mi colpisti sul volto stremato
con parole
come coltelli,
nella camera d'albergo da poco
su quel lungo, lunghissimo lungomare
di una città spicciola di frontiera.
Questa non è l'America,
fratello, fu la prima volta
in cui, d'innumerevoli,
mi facesti male,
come fa male un chiodo,
come logora un nodo,
come schiaffeggia una mano cattiva,
e la povertà ci rese giustizia
come una foglia
nel vento.

Da: Caterina Davinio, “Il libro del disordine”, in Fatti deprecabili. Poesie e performance dal 1971 al 1996, Premio Tredici 2014 (in corso di pubblicazione).

Caterina Davinio (Foggia 1957), tra i pionieri della poesia digitale, ha esposto in oltre trecento mostre internazionali, tra cui sette edizioni della Biennale di Venezia ed eventi collaterali, la Biennale of Sydney, la Liverpool Biennial (Independents), la Biennale de Lyon, la Athens Biennial, la New Media Art Biennial di Merida, e molte altre. Inclusa in pubblicazioni e collezioni italiane e straniere d'arte, letteratura e avanguardie, ha ricevuto premi in Italia e all'estero per l'attività letteraria e artistica. Ha pubblicato i romanzi Il sofà sui binari (2013), Còlor còlor (1998); per la saggistica: Tecno-Poesia e realtà virtuali (2002) e la raccolta di scritti sulla net-poetry Virtual Mercury House (2012); in poesia: Aspettando la fine del mondo (2012), premio speciale Astrolabio per l'originalità del testo, Il libro dell'oppio (2012), finalista nel XXV Premio Camaiore e nell'XI Premio Città di Sant'Anastasia, Fenomenologie seriali (2010), terzo classificato nel Premio Carver e menzione speciale nel Premio Nabokov. In corso di pubblicazione: Fatti deprecabili. Poesie e performance 1971-1996, Premio Tredici 2014.

giovedì 23 gennaio 2014

Una poesia di Plinio Perilli

Con molto piacere pubblico qui di seguito una poesia di Plinio Perilli, noto poeta, saggista e critico letterario romano.
E' una poesia che Plinio ci ha inviato in occasione delle recenti festività natalizie, per farci riflettere sulle banalità e sui falsi valori che, specialmente in queste ricorrenze, risaltano ancor di più. E' una poesia diretta, sincera, ironica, scritta con grande verve creativa e con un linguaggio colto. Grazie, Plinio!




L'UMILTA' IN E-BOOK
(e il Natale in store digitale...)

L'Umiltà in e-book! Umilità globale...
che oggi mi distoglie, eppure ci richiama,
pulsante come una strana luce lontana
che annette, "tagga" pastorelli e Re Magi, 
giornalisti e migranti, alla capanna elettronica
di quest'immenso, inquieto twitter/presepe,
dove fedeli e "valori" - scrive il "Corriere" a mo' 
d' enciclica laica, francescana cometa di 
trasparenza - pacificano ogni dissidio, e sono, 
sic!, disponibili in tutti gli store digitali...


L'Umilità di tutti, amplificata a tutti...
Ma il suo megafono resta il silenzio,
in questo brullo, freddo Cuore/caverna
dove ci inginocchiamo solo col pensiero,
profondo e grato, capendo che il vero
amore è appena un gesto, sussurra il senso
d'una poesia che finalmente dismette
le parole, non le sciupa che a mente.

Dove l'Umiltà vige e cresce respiro, ma non 
rito, bisogno e non richiesta, perdono e mai 
rivalsa... L'umiltà degli umili, che non ne parlano,
non chattano prediche - interviste emerite
ai pontefici, news coronate - ma se ne accendono... 
L'unico dono che non si vede, ma neonato ci dona 
il suo Dove. Quell'esserci tutta dentro, tutta dedita 
a tutti, fiato fraterno - travaglio ferito, fiorito di Dio.

Plinio Perilli
Firenze, 29 dicembre 2013

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà