lunedì 7 gennaio 2013

Giovanna Iorio e la sua "Venere nel Tevere"


Con ben tre esergo la nostra bravissima poetessa romana, ma di origini irpine, inizia una sua corposa e intensa silloge poetica inedita, dal titolo "Venere nel Tevere": una citazione dalle "Metamorfosi" di Apuleio, un'altra di Plinio il Vecchio ed infine una terza tratta da un brano di "Una specie di solitudine" di John Cheever. C'è un segreto filo conduttore che lega tutte le poesie di Giovanna Iorio in questa raccolta, ed è in effetti la condizione della donna sottilmente descritta, quasi in filigrana, in tutte le sue varie caratteristiche ed aspetti, lungo un percorso storico, ma soprattutto sociale e psicologico che si snoda dai tempi antichi fino ai nostri giorni. Mi sembra molto indicativa la prima poesia, Cloacina, che dà l'abbrivio a tutte le susseguenti.
La scrittura poetica di Giovanna Iorio si presenta in questa silloge molto ben articolata, profonda, con tratti di alta liricità. Interessante è anche il frammentare l'intero corpo poetico con brani di prosa poetica (per esempio: "Monologo di un Fossile"), che rendono tutto il suo progetto completo anche stilisticamente e aderente alla caratterizzazione delle situazioni e dei personaggi descritti.
Purtroppo per motivi di spazio non è possibile pubblicare qui l'intera raccolta. Ne trascrivo qui di seguito alcuni brani sperando di aver individuato quelli più rappresentativi, a mio modesto parere, anche se convengo che sarebbe necessario leggere e gustare tutta l'opera per avere un quadro sufficientemente ampio. Ma lascio agli affezionati lettori, come sempre, il gradito compito di aggiungere, se lo desiderano, altre interessanti riflessioni in proposito.

CLOACINA

Sono Venere Cloacina
La donna gettata nel  fiume Tevere
lo sporco mi  scorre nel cuore
ho dormito in un letto
d’acqua impura

ho visto  un  fiume di persone
ho visto scorrere via il tempo
sotto il  cielo che si fa nero all’alba
come un lenzuolo

emergo  da un’onda
con le pietre nel cuore
gli occhi verdi di alga
la mia  lingua pronta

a pulire con  parole d’amore
le antiche ferite
i vicoli sporchi
i ponti rotti
la cloaca che fluisce
l’anima sporca
del fiume.


MONOLOGO DI UN FOSSILE

Stasera le parole sono appese a un filo ad asciugare.
Stasera il cielo è nera antimateria e lo sa Iddio e qualche povero umano cosa sia contemplare il vuoto.
Stasera ritrovo un amico che non riconosco, leggo le sue parole, una fonte sincera è ora acqua mescolata a rancore.
Stasera gli anni sono macine di frantoi il gusto un po' amaro dell'olio emerge dalle parole, un alone si allarga a macchiarmi i fogli di memoria.
Stasera il vento che non si è ancora levato aspetta indeciso tra i rami ruvidi.
Stasera si avverte nell'aria il brivido dell'inverno e la paura della primavera- il loro abbraccio silenzioso si trasformerà presto in pioggia.
Il Tevere gonfio si è fermato sotto i ponti a dormire- come un barbone qualunque in cerca di riparo. Ne sento il respiro- il corpo nascosto tra gli strati di pietra come un fossile vivo.
Stasera c'è abbastanza silenzio in casa e nella mia vita per un'archeologia della memoria. Perché ogni cosa rimane intatta nel fondo della città, anche quando il tempo sembrava averla distrutta.
Roma ha in serbo un po' di polvere per ciascuno di noi. Un mucchietto di terra leggera che ti entra nei pori, che ti spegne il sorriso, che ti seppellisce la voce.
Ma stasera c'è un vento leggero che arriva da un punto lontano e luminoso nel buio - pretende un pezzo di vita in cambio di un po' di primavera.
Allora Roma spolvera un po' di rovine e uno dei suoi fossili ritorna a scintillare- tesoro emerso dal magma di vita.
Ecco una foglia caduta tra le pietre del Colosseo, ecco l'orma di un leone, l'eco di un ruggito, la piena del Tevere.


TIC TAC TIC TAC

Ho dovuto accenderlo stasera
il forno. Riscaldare la stanza,
il cuore. Non mi piace scrivere
la parola cuore.

Non vuol dire più niente.
Non assomiglia per niente alla parola. 
Cuore. Se ne sta qui in mezzo al petto

un orologio con le lancette. Una vecchia 
pendola rumorosa
nell'era del digitale lei fa  ancora
un rumore antico. Tic tac  tic tac

dice dice dice  mi sembrano parole.
Ma chi le vuole! Smettila, dimmi qualcosa
di diverso, di meno antico.

Non te la prendere, non ti fermare.
Hai ragione. Accendo il forno
e la stanza si scalda
mi viene voglia di riempirla di pane.
Impasto il pane.
Il pane sente tutti i pensieri
 è colpa del lievito. Lui sì che
 è sensibile, si gonfia
di pena, di gioia, di rabbia.

Stasera va a finire che
tra il forno, il cuore e il pane
questa stanza si trasforma in una poesia d'amore.
E io non ne scrivo.
Mi fanno arrabbiare.
Mi fanno infuriare.
Stanze così sono pericolose. Bisognerebbe

vivere all'aria aperta
 accanto al fiume laddove
non si sente il tic tac del cuore.


259200 SORRISI

la colpa non esiste
e allora non è colpa
di nessuno se muore
un bambino ogni 3 secondi
che ha meno di 5 anni
stiamo tutti sereni
dal momento che
la colpa non esiste

e  non è colpa
di nessuno se un'ora
fa 1200 bambini
in meno

e in un giorno
fa 259200 sorrisi
in meno.


SENZA ANIMA

Si potrebbe lasciare tutto per un po'
senza anima

provare a gettarla
in fondo al fiume
salire in carne ed ossa in cielo.

Chi ha avuto la strana idea
di mettermi nel corpo questo
fardello?

Si macchia
come se la vita fosse una pietanza
un piatto di spaghetti spietato
al sugo  che schizza
all'impazzata e sporca
la vita e l'anima
del mondo.


INDISCRETA (O TRA PARENTESI)

Non vorrei sembrarti indiscreta
sempre a sbirciare il tuo umore
tra virgole e saltelli di parole
una parentesi interrompe la nostra
lunga conversazione (dovevo pensarci prima a
stendere il bucato a tendere il filo fino
al cielo - che profumo la siepe laggiù peccato
che sia sempre più verde l'erba
del vicino- anzi vicina- lei ha i capelli rossi
e un naso che le è costato un sacco di sacrifici
ma ora se ride si vedono le piccole narici
in mezzo alla faccia  i fori imperiali
non c'è più ombra del nero)
che stavamo dicendo
scrivevi leggevi cosa facevi
volevo soltanto dirti che non devi
per favore mai guardarmi senza vedermi
ti prego non fare che gli occhi mi attraversino come
una nuvola. Ecco ora continua pure
quello che stavi facendo. Il tetto
della mia casa è di vetro
io vedo tutto quello che brilla nel tuo cielo
stelle di puntini freddi
 immobili pianeti.


PANGEA

il senso inesplorato delle cose
che rimangono immobili e silenziose
come fossili di noi pronti
a svelare segreti:

la prigionia dei colori di un quadro
la lotta contro il tempo della luce
le linee parallele che attraversano separano cercano
all'infinito

è un disegno inascoltato
quello dei nostri mondi
continenti  solitari che si allontanano
dopo essere stati uniti soltanto pochi secondi

ho commesso il più umano degli errori
aggrappata alla crosta di un pianeta che va alla deriva

mi era sembrato un volto
quella immagine di noi
simile a un dio onnipotente
aveva creato la vita e l'infinita polvere
sulle cose

pura follia è un viaggio verso la terra promessa
aggrappati ad un frammento solo
mentre il mondo si disgrega e abbraccia
il molteplice.


UNA CASA NEL BOSCO

E mentre il pane lievita, il sogno.
Una casa nel bosco, con la nebbia intorno e dentro legna profumata che arde nel camino.
Sogno di potermi addormentare accanto a un fuoco senza evaporare, avvolta in una soffice coperta verde, come se nella stanza fosse cresciuto un prato, un bosco.
Sogno di potermi svegliare all'alba come un uccellino.  Meravigliosamente riposata. Lavarmi il viso con l'acqua fredda di un catino. Andare a pettinarmi sulla soglia. Avvolgermi in una lunghissima vecchia maglia. Vivere di caffè e biscotti. Non scrivere nulla. Pensare parole. Poi la sera uscire a cercare i piccoli occhi che mi spiano tra i cespugli. Trovare il modo di farmi seguire fino a casa. Sbriciolarmi per loro.


IL LATTE

il tempo è  latte
in una bottiglia di vetro
lasciata sulla soglia di casa
una mano avanza e versa
il bianco nella stanza


LE MANI, LE ALI

metteva sempre le mani
bianche come candele
sulle ginocchia
chiudeva gli occhi e cominciava
una storia

si dondolava un poco e poi uscivano fiamme
dalle mani: ricordi, parole
fingevo di dormire
lei riapriva gli occhi

le mani sempre accese
nella mia notte.

Giovanna Iorio vive e lavora a Roma. Ha tradotto dall'irlandese diversi testi di poesia e di narrativa. Per le edizioni Via del Vento ha curato e tradotto i volumetti: Eavan Boland, Falene; Medbh McGuckian, Scene da un bordello. Per Trauben Edizioni “Testo di Seta”, poesie di Eilean Ni Chuilleanain, Torino, 2004.
Nel 2012 come autrice ha pubblicato racconti e poesie: "100 storie prima che sia troppo tardi",  AA.VV. (Feltrinelli). "Roma per Roma", Edizioni Progetto Cultura. "Il libro degli oggetti smarriti"  (poesie) in "La forza delle parole", Fara Editore. "La memoria dell’acqua" (poesie), Ghaleb Editore. "Mare Nostrum", poesie, Retrobottega 2, a cura di Gianmario Lucini, 2012. "Rosso da camera", AA.VV. Perrone Editore, 2012. "La mamma è la mamma", Mondadori, 2012.
E' in uscita a cura di Delta 3 Edizioni la raccolta "In-chiostro", primo premio Concorso "L'Inedito" 2012. E' autrice di narrativa breve per Storiebrevi.it, il sito della Feltrinelli che pubblica racconti da leggere sullo smartphone. Ha appena pubblicato i racconti "L'avambraccio" e "Carlo il Calvo".
Ha da poco iniziato a collaborare con il Blog Letterario "Finzionimagazine" (http://www.finzionimagazine.it/ ).

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà