sabato 2 novembre 2013

Per ricordare Domenico Luiso

La parola è un miracolo. La parola poetica è un miracolo ancora più grande. Perché l'uomo se ne va, colui che l'ha pensata e l'ha scritta se ne va, prima o poi, e di lui resta poco, i ricordi, le cose che parlano di lui, qualche impronta, forse a volte anche un lieve soffio d'aria nelle stanze ormai vuote. Ma passa breve tempo e poi anche tutto questo si perde, evapora, sbiadisce.
A che cosa sarà valso tutto l'affanno del poeta, la sua ricerca assidua e a volte sfiancante, la sua sofferenza nel voler a tutti i costi trovare una spiegazione al perché del mondo, al perché dei sentimenti, fissando tutta questa ricerca sul suo taccuino di poeta? Sarà stata solo un'intima esigenza creativa per non essere sopraffatto dall'inspiegabilità razionale della vita e del creato? Dopo la morte del poeta, chi erediterà le sue ricerche? Chi troverà qualcosa di interessante nel suo quaderno, qualcosa di utile per proseguire le ricerche?...
Anche l'opera del poeta, spesso, si inabissa con lui, con la sua fine terrena. Parlo naturalmente dei "comuni mortali poeti", perché grazie a Dio di quelli "grandi" la storia ne parla ancora (ma fino a quando?...).
Domenico Luiso, come tanti altri "comuni mortali poeti", è stato un uomo creativo che ha pensato e scritto tanto, ha fatto tante ricerche. Non so se sia riuscito a trovare qualcosa di esaurientemente soddisfacente, credo di no, perché i poeti, i poeti come lui, non si fermano mai, vanno scavando sempre più in profondità... So per certo, però, che purtroppo la sua voce, come la voce dei tanti altri "comuni mortali poeti", andrà affievolendosi a poco a poco, si perderà nel sacco senza fondo del tempo.
Per questo, forse, bisognerebbe di tanto in tanto ricordarli. Bisogna ricordare Domenico Luiso, farlo riemergere, tenerlo a disposizione sulla scrivania, leggere di tanto in tanto le sue poesie, e rileggerle ancora. Farsi trasportare dalle sue parole, dai suoi versi a volte aspri, a volte dolci, sognatori, amanti del bello e amanti dell'amore. Ascoltare ancora le sue parole fatte di nostalgia, di rimpianto, ma anche di sprone e di speranza.
Lui ha scritto un libro, l'ultimo libro: "Di febbri e di parole". Il male che lo avvinghiava senza tregua non gli ha permesso di sentire il suo profumo fresco di stampa, non gli ha dato tempo di gustarlo rileggendolo e rileggendosi. Lo dobbiamo fare noi. Perché Domenico Luiso, in ultima analisi, non era un "comune mortale poeta", ma era un poeta grande e autentico. Amava scherzare, ma quando scriveva, la sua poesia era terribilmente seria, profonda, solenne.
Non dobbiamo dimenticare Domenico Luiso. Come non dobbiamo dimenticare gli altri amici poeti che abbiamo conosciuto e che nessuno più richiama o nomina: la loro poesia è fatta di piume che vengono trasportate lievemente dal vento, e il vento è il nostro ricordo, il nostro parlarne, il nostro scriverne: così che le loro parole possano depositarsi nei nostri cuori, facendo germogliare altri pensieri, altre creazioni, altre poesie.
E quindi non addio, Mimì Luiso! Ma "arrivederci": la tua poesia è ancora qui, viva e palpitante, come la tua voce con la divertente cadenza barese. Se facciamo un poco di attenzione, ti sentiremo sicuramente, come se fossi tu a leggere le tue belle poesie!

Riportiamo qui di seguito alcune sue poesie tratte dal libro "Di febbri e di parole", Bastogi Editore, 2013, prefazione di Armando Saveriano.
Saranno molto graditi i commenti dei lettori.

Se questa vita

Se questa vita è una piuma sospesa
dentro un'ampolla diafana di carne
reclina il capo il fiore germogliato
dell'odio astioso
e ridiventa amore

muore lo scroscio delle tue mani ossute
e ridiventa una carezza triste

stesa con gli occhi chiusi questa vita
annega nebbie pazze di parole
nelle placide acque di un sorriso

non ha ferite e pieghe nei suoi fianchi

riflette il segno del tuo sguardo amico
e nella bocca muta s'agita lo stelo
del balsamo di un bacio che non muore.

***

La sera lenta

La sera lenta ci veniva incontro
coi suoi cespugli d'ombre e di silenzi
e di noi due seduti a una panchina
non furono più vive le parole

un vento grigio oltre lo steccato
già ci annusava e ci lambiva gli orli
e a noi che fummo ardenti di pensieri
si fecero ricordo anche gli occhi

in quella sera ai margini di noi
ebbe sete di nebbie la lumaca
e fummo un rigagnolo sfumato

di noi rimase la beatitudine
di carne e pietre fattisi stupore.

***

Ottobre

Lattiginoso ottobre alle mie labbra
assorto accosto il tuo vetro opaco
e assaporo lenti sorsi di languore

si fa diafano il clangore nella gola

tra le mie mani il tuo velluto grigio
tra queste mani la memoria lieve
d'ogni parola arsa
d'ogni sete

ottobre pigro che m'invadi gli occhi
con il tuo velo sulle cune rotte
(si fermano le larve del pensiero)

ottobre lento
cuore di me stesso
ottobre muto ottobre ignaro ottobre
sulle tue foglie sparso evanescente

torpido ottobre sui miei rami stanchi.

***

Piuma

Piuma che rivaleggi
col cuore arroventato
un segnalibro forse tu sei che scandisci il vento
dei frenetici fogli del mio libro
pagine brune diventate cenere

diafana piuma, incombusto segno,
mosca scacciata che ritorna sempre

piuma che mi scandisci la lettura
volto ogni pagina e mi trascino dietro
pulviscoli di pena e di paura

piuma assurda e incerta
forse mai morta
forse mai nata
nacqui al posto suo
e forse morirò
bruciando i miei occhi tra le sillabe

eterea piuma lieve come l'alba
che istoriava il mio libro

e la credetti un sogno.

***

Sul muro rabberciato

Sul muro rabberciato il sole lento
s'aggruma
in mille scaglie di sale
che non sentono più il vento

se bisbigliava un'ombra tra le pietre
un'immemore notte la raccolse
spegnendola nell'intimo lamento

l'ondivago mio passo si rafferma
in quel momento
di luci e di parole
calcificati senza movimento

e mi confonde il discorso antico
dell'ennesima morte
della morte

ma sono niente le parole
e il filo
che scorre rampicato sulla china
s'impolvera e si perde

ai miei occhi
resta il veleno aspro dell'abbaglio.

Domenico Luiso è nato a Bari il 10 ottobre 1937 ed è morto il 7 settembre di quest'anno, 2013. Risiedeva con la famiglia a Bitonto, dove ha sempre svolto una intensa attività letteraria, specialmente negli ultimi anni, dando il suo fattivo contributo nell'organizzare importanti eventi culturali ed anche concorsi, come il concorso di poesia e narrativa "Città di Bitonto". Ha pubblicato diversi libri di poesia; l'ultimo, uscito postumo, è intitolato "Di febbri e di parole", Edizioni Bastogi, Foggia, con prefazione di Armando Saveriano.
Domenico Luiso è stato un assiduo partecipante dei concorsi letterari nazionali, e sempre si è distinto in questi, ottenendo molto spesso il primo premio ed altri significativi riconoscimenti. Il suo nome è inserito in numerose antologie e riviste di poesia. E' stato membro di giuria in molti concorsi letterari di rilevanza nazionale.

Il ricordo degli amici

Caro Giuseppe,
Mi dai una tristissima notizia. Anch'io ho avuto modo di conoscere Domenico e di parlare con lui. E ciò in molte occasioni. Voglio solo ricordare un nostro incontro a Sant'Anastasia ed un altro a Vecchiano, quando vinse il Premio "Santa Maria in Castello-Città di Vecchiano". Mi viene in mente la Sua voce e la Sua simpatia. Hai ragione, Domenico resta pur sempre con noi, anche se non materialmente. Le Sue parole e la Sua poesia saranno sempre presenti nei cuori di coloro i quali - ed io sono tra i tanti - hanno avuto modo di ascoltarla e di apprezzarla.
Giovanni Bottaro.

Mi dispiace molto. Siamo stati insieme ad Udine per un premio e partecipò diverse volte al nostro Reali. Molto bravo. Ma le parole restano.
Un caro saluto.
Bruno Bartoletti

Che tristissima notizia! A Mimì mi legano tantissimi ricordi di vita letteraria e poetica nonché un’amicizia che aveva ed ha il suo credo nella spensieratezza e nel rispetto reciproco più profondo. Non un addio ti do, caro Mimì, ma un dolce arrivederci, ricordando il nostro primo incontro a Modena dove tra il serio e il faceto mi chiedesti: “ma come fai a scrivere così…”.
Ho scritto di recente una poesia intitolata: “La morte del poeta” che alcuni conoscono, e che ti dedico dal profondo del mio cuore.
Ciao Mimì, e che ti sia lieve il passare sulla Terra. Benito. Galilea

La notizia della scomparsa di Domenico ci rattrista e ci sconvolge. Lo abbiamo visto l’ultima volta a Porto Recanati l’anno scorso, ma senza Caterina. Ci aveva promesso che sarebbe tornato la settimana successiva a Montefiore, dove doveva ritirare un primo premio, ma a quell’appuntamento non si presentò. Lo ricorderemo com’era, sempre brillante e un po’ guascone, ironico e salace; e certo ricorderemo la sua poesia, musicale, inquieta, visionaria.
Umberto Vicaretti

Caro Vetromile,
l'ho saputo pure io stamani della morte dell'amico poeta D. Luiso. Ci siamo ritrovati insieme in tante competizioni di Poesia. La morte ghermisce senza distinzioni in modo inesorabile. Noi tutti lo piangiamo.
Antonio Coppola

Questa triste notizia mi ha addolorato, benché non conoscessi di persona Domenico Luiso. Ne ho però sempre apprezzata la bravura poetica e la profonda umanità che pervadeva (e pervade) le sue liriche. Hai proprio ragione: la nostra materialità si disfa, ma non la poesia. Se è vera, come quella di Domenico Luiso.
Pasquale Balestriere




domenica 6 ottobre 2013

L'irlandese Eamonn Lynskey

Tornando ai poeti esteri, presentiamo qui una interessante voce irlandese: Eamonn Lynskey, che ho avuto il grande piacere di conoscere anni fa, durante una suo viaggio a Napoli. C'è stato con lui, in quest'ultimo periodo, un fitto scambio di testi poetici e di riflessioni, e l'intesa tra di noi sul ruolo della poesia in generale e sul suo evolversi, è stata ottima e proficua, nonostante le difficoltà comunicative di entrambi a causa delle lingue diverse. Ci siamo rivisti ultimamente, sempre a Napoli, e abbiamo a lungo discusso sull'eventualità di seguire un progetto comune di interscambio poetico.
Pubblichiamo qui alcuni suoi testi nella lingua originale, tratti dall'ultima raccolta "And Suddenly the Sun Again", con traduzione in italiano eseguita dall'autore ma riveduta in alcuni punti da me.
La sua poesia, come si potrà notare, è una poesia dell'immediato, della cronaca, del quotidiano, dove spiccano le memorie e i sentimenti, resi con un linguaggio diretto e personale.
Saranno graditi, come sempre, commenti e riflessioni di tutti voi che seguite da tempo questo mio spazio poetico.


New-mown grass


New-mown grass, and once again my head
is filled with smells and sunlight and myself
grown small - Those endless summer afternoons
we built our houses, fortresses and castles
from the grass that lay in fresh-cut mounds
in Islandbridge Memorial Park, my mather
reading romances to keep her mind away
from bills and household worries and away
from him that moment working down the mines

in Lancashire, and his letter that hadn't come.

Erba appena tagliata

Erba appena tagliata, e di nuovo la mia testa
si riempie degli odori, della luce del sole e di me stesso
diventato piccolo - Quei pomeriggi d'estate interminabili
quando noi costruivamo case, fortini e castelli
con l'erba ammucchiata in colline fresche
nel Memorial Park di Islandbridge,
mentre mia madre leggeva romanzi per distrarsi
dalle bollette e dalle ansie di casa, e per non pensare a lui
che in quel momento lavorava in fondo alle miniere
del Lancashire, e alla sua lettera che ancora non arrivava.

Daffodils Along the M50

I never see the daffodils line up
along the motorway but I remember them
that day I drove to work distraught
becouse I'd phoned the week before to say
I'd call to see you sometime soon, but didn't.

They deck the highways every year I think
to tell us something good about ourselves -
despite all evidence to the contrary:
our day-to-day dishonesties, deceits,
our unintended cruelties, neglects.

And every year they tell us to keep close
our friends because we do not know the day,
the hour they will be thieved away, and we
be left alone with those to whom our stay
or passing is a matter of small moment.


Narcisi lungo l'autostrada

Non vedo mai i narcisi in fila
lungo l'autostrada, ma li ricordo
quel giorno che ho guidato sconvolto
perché ti avevo telefonato la settimana prima per dire
che ti avrei visto presto, ma non l'ho fatto.

Decorano le strade ogni anno, penso,
per dirci qualcosa di buono su di noi -
nonostante tutto dimostri il contrario:
le nostre quotidiane disonestà, truffe,
le nostre inconsce crudeltà e trascuratezze.

E ogni anno ci dicono di tenere vicino
i nostri amici, perché non sappiamo né il giorno,
né l'ora che andranno via da noi, e noi
rimaniamo soli con quelli per i quali il nostro stare
o andare, è cosa di piccola importanza.


Times I Hear of Lives Lost

("35 miners die in Ukraine coal mine fire near Kiev",
"25 coal miners killed in north-eastern China" - News reports)

Times I hear of lives lost
underground I hear again
the iron cage clang shut, I hear
you telling of the fear that struck

the earth each time the cables tightened
overhead. Again, I see you
and your fellow colliers
descend through levelled ages, faces

grey with dust no razor gleaned,
no water cleaned - I feel the pick
and shovel cramped against your skull.

 ***

At home on holidays you puzzled
over diagrams I'd made
at school until suddenly you laughed.
"Why, dammit! That's a Davy Lamp!"

Two weeks of holidays and then
the suitcase in the hallway, then
the letters stamped in Manchester
or mining towns in Wales. Some nights

I see you climb from my dark reservoir
of loss, your shoulders cloaked with coal dust,
lamp in hand. I always call
to you. You always turn away.

A volte sento di vite perse

("35 minatori morti in Ucraina, vicino a Kiev",
"25 minatori di carbone uccisi nel Nord-Est della Cina" - titoli di giornali)

A volte sento di vite perse
sottoterra sento di nuovo
la gabbia di ferro che si chiude con fragore, e ti sento
raccontarmi la paura che struggeva

il cuore ogni volta che i cavi si tendevano
in alto. Di nuovo vedo te
e i tuoi compagni di lavoro
scendere tra gli strati livellati, facce

grigie di polvere che il rasoio mai rasava,
l'acqua mai puliva - Sento il piccone
e la pala appesi alla tua giacca,
il casco ben fissato alla tua testa.

A casa, in vacanza, un disegno
che avevo fatto a scuola, ti ha lasciato
perplesso, fino a che hai riso:
"Accidenti! Quella è una Davy Lamp!"

***

Due settimane di vacanza e poi
la valigia nell'entrata, poi
quelle lettere affrancate Manchester
o paesi di miniere in Galles. Qualche notte

ti vedo risalire dal buio, dietro
il mio serbatoio d'ossigeno vuoto,
le tue spalle coperte di polvere di carbone,
lampada Davy in mano. Sempre ti chiamo.
Ma sempre ti giri dall'altra parte.

Eamonn Lynskey è nato a Dublino nel 1949. Scrive poesie fin dal 1980; la sua prima raccolta poetica ("Dispatches & Recollection") è stata pubblicata da Lapwing (Belfast) nel 1998. "And Suddenly the Sun Again", Seven Towers Publication Editore, 2010, è la sua seconda raccolta poetica.

domenica 14 luglio 2013

Vanina Zaccaria e la poesia di "Ivan"

Vanina Zaccaria, giovane poetessa napoletana, molto impegnata nello studio dell'arte teatrale e nella ricerca poetica anche estera, in particolare quella russa, ha un dettato poetico molto originale, basato prevalentemente sul monologo. Un verso libero che però ha la sua giusta cadenza e tonalità, la sua giusta musicalità. Volentieri ospitiamo qui un breve saggio della sua poesia, che è forte, profonda, con immagini che richiamano velatamente scenari russi, ma anche ellenici e classici. Si tratta a mio parere di una poesia affascinante, che prende il lettore ma che è resa ancora meglio quando è la stessa nostra autrice a declamarla, con la destrezza, la competenza e la bravura di un'attrice di teatro quale essa, peraltro, è.

Una umanità ferita, dimenticata, il desiderio di riscossa, il grido di dolore di un soldato: questi i temi fondamentali che delineano, almeno in questi testi, la fisionomia poetica di Vanina Zaccaria. Ma, come sempre, sarà l'amico lettore attento che vorrà aggiungere eventuali altri graditissimi commenti su questo mondo poetico del tutto particolare e certamente molto valido e interessante.

Gli occhi di Ivàn

Non esistono azzardi Isidora
è solamente il tempo che ci perisce
benché ci pensammo giunchi
irresponsabili sotto il peso dell’acqua.
Abbiamo corso sui gomiti, sui palmi delle mani
e sui ginocchi
una catechesi feroce tra noi e la strada
e lo sguardo di tua madre, a cui non si ebbe accesso,
immacolato come un feretro cristiano.

Mi hai raccontato di Lui
che ebbe per te lo stesso peso di una morna
e lo cantasti e ricantasti, trasfigurato
come se non dovesse finire mai
l’azzurro nebuloso dei suoi occhi
che solo quello il ricordo salvò
il resto in pasto alle stagioni,
veloci come cani da slitta.
Te lo portasti dentro come una nenia,
tua madre non sapeva,
e ne amasti i tratti
con la solitaria passione dell’uccello feroce
destinato al suo esilio di rupi.

Non esistono azzardi mia bella
è solamente il tempo che ci monda
in questa irriducibile primavera
e ci consegna come ostie nelle bocche dei credenti.
E ancora il ricordo tremendo
della sua pelle bianca
quando al confine con Palanga
si rinserrava austero nella piccola giubba.

Il gioco del soldato

Ci acquartierammo in un sogno
per mancare la traiettoria della mitraglia
nell’estate fremente di San Martino,
quando venimmo a gemere presso la porta di casa.
Padre io non lo so, padre io non lo so
se fummo noi il reato o l’amnistia
nascosti com’eravamo nella nebbia.
Avemmo da credere al presentimento della resa
mentre rassomigliavi alle rive della città di Pietro
che fonde il nero con gli ori quando la Sfinge, al vespro,
china il suo corpo di animale nelle acque della Neva.
Mentre rassomigliavi ai venditori di porcellane
che piegano verso oriente nelle mattine di neve
con occhi chiari e mani minute.
Percorremmo la strada dei viadotti
salendo a fatica l’aspra montagna
la sera, come una creatura nuda,
serrava vergognosa le ginocchia.
Padre non lo compresi
se fummo noi il delitto o la giustifica,
piegati com’eravamo nella nebbia
salmodiammo e ragliammo come l’agnello
nel giorno in cui gli fendono la gola.
Con la dinamite legata alla schiena
provvedemmo a non morire,
mentre rassomigliavi alla pista di ghiaccio
che si dipana dal Ladoga
in vividi riflessi boreali
mentre, asserragliato nella notte,
rassomigliavi alle robuste erbe della steppa
pagane e bionde, aggrappate alla terra
quando il vento feroce ne mina la bellezza.

Ti ho estratta a mani nude dalla pietra

Ti ho estratta a mani nude dalla pietra
che gemevi nella sera composta, al verso di animale della laguna
L’abito scolpito, corrotto dall’acqua salmastra
insisteva lamentoso nel vento
senza che tu potessi muovere un solo passo
Contratta ti vidi, col collo torto
e ti estrassi a mani nude dalla pietra
era l’ora barbara del mercato, l’uccello bianco attendeva
scarti di interiora
Il cuore calmo declinava ogni invito
l’acqua scura cospargeva di bave le tue anche di marmo
fosti informata dei fatti, dell’epoca remota
corrispondemmo coi morti per brevi istanti.

Ti ho estratta a mani vive dalla pietra
come la levatrice al grido nero
risposi segnando il lutto,
il tuo sguardo cieco fece un cenno di biasimo
e fummo a un passo dalla disfatta
Venimmo a decisioni feroci
e prima che il lume rivelasse il volto
seppi dell’occhio di Ciclope
che assumeva i tratti immondi della tua memoria
Fu l’uomo bruno, figlio degli achei
a mostrarti fremente la costa,
il tuo corpo di fiera
barcollò sull’acqua, turgido di bruna.

Nessuno dimora

Guaderemo il fiume, nel tempo severo del marzo
procedendo muti e senza espressione.
Mi dicesti  non c’è rimedio
e rivolgesti lo sguardo verso la pietra,
nessuna attesa, e il tempo si mise di schiena.
E invece guaderemo il fiume, come animali stanchi
passeremo il confine
mostrando il segno del morso dietro la schiena,
senza impietosire nessuno
senza che nessuno ne abbia misura
misura e coscienza
nel tempo severo del marzo
il marzo stanco, senza rimedio.
Ci duole la schiena, curvi alla foce
alla foce ventosa, scossa da uccelli
noi chini alla foce, scardinati dagli anni
minute figure, minute come l’aratro
e come il secchio
nella sconfinata campagna, oltre il confine
tornando dove ricordavamo casa,
la casa smarrita, contratta sotto le polveri.
Rammaricato alla finestra, tenuto alla fune,
come impiccato
il tuo vestito di lino
quello che indossasti per la festa, sbottonato alla gola
per soffiare il clarino e l’armonica
prima del fiume, prima del marzo.
E adesso che non credi più
a nemmeno una voce
e nemmeno ti volti a guardare
il nobile lino scolora
e nel paese estinto
se ne vanno i vecchi languidi
seguiti dal tempo che incensa le strade.

Vanina Zaccaria vive e lavora a Napoli.
La sua attività si è costantemente divisa tra il percorso artistico-letterario e l’impegno nel campo della ricerca sociale e delle politiche sociali.
In ambito artistico si è dedicata al teatro, sia portando in scena spettacoli come attrice, sia collaborando come direttore artistico per l’associazione culturale Passiodea, per la quale ha scritto e diretto performance teatrali.
I vari lavori teatrali, di cui ha curato regia e sceneggiatura, hanno avuto sempre come epicentro la letteratura e la poesia; del 2010 è il lavoro teatrale ‘Storie di Tango’, performance che ha unito un concerto di tango per voce e chitarra solista con un percorso nella poesia e nella letteratura argentina.
L’ultimo lavoro teatrale come protagonista è stato il monologo ‘Un soffio tra i capelli’, tratto dal racconto di Giovanna Castellano e portato in scena al Teatro Il Primo di Napoli nel 2011.
Attualmente di rassegna stampa internazionale e ricerca nel campo della storia e della geopolitica.
Collabora con il giornale in lingua italiana e russa Sussurri e Grida  come curatrice della rubrica ‘Osservatorio Etico’, che si propone come spazio di libero pensiero e riflessione intorno ai temi della politica contemporanea, usufruendo del contributo delle scienze sociali.
La poesia, come costante di ogni percorso, è stata un lavoro intimo che ha portato alla nascita di tre raccolte: la prima ‘Senza che gli altri ne sappiano niente’, dedicata ad Anna Achmatova e alle donne della resistenza russa, ha i toni della prosa poetica e del racconto e subisce le suggestioni di lunghi anni di viaggio; la seconda dal titolo ‘Il Novecento in calzamaglia’, dedicata a Cesare Pavese, è una raccolta asciutta ed ermetica che diviene un dialogo intimo sulla vita, pensata come teatro di guerra e di rinascita; l’ultima, ancora incompiuta, è ‘Storie dei pesci fischiatori’, nata e sviluppata a Venezia, meta reale e simbolica, luogo epifanico e di confine, è la voce di innumerevoli personaggi che si affastellano nell’immaginario di chi vive per la poesia e nella poesia.

giovedì 13 giugno 2013

La poesia di Anna Ciufo

Riprendiamo le presentazioni di poeti e poetesse che con la loro intensa ed impegnata attività letteraria lasciano un'impronta davvero significativa nel nostro percorso artistico e culturale attuale, così variegato e a volte anche difficoltoso, ma sempre e comunque meritorio e degno di rispetto.
E' la volta dunque di Anna Ciufo, persona sensibile e poliedrica, artista completa e originale, in quanto i suoi interessi e la sua attività spaziano dalla poesia, alla pittura, alla promozione culturale.
La sua poesia è di rilievo, appare eterea ma nello stesso tempo carica di energia, energia che ella richiama, evoca, soprattutto dalla natura, dal cosmo. E' un canto che si struttura partendo dalle dimensioni terrene, per poi proiettarsi verticalmente in alto, "spogliando" la natura del suo gravame e rivestendola con soffici panni di luce. Caratteristiche, queste, che si possono notare anche nelle sue originali composizioni pittoriche.

Lasciamo ora il campo ai nostri affezionati lettori, i quali sapranno sicuramente aggiungere qualche altra gradita riflessione sulle poesie di Anna Ciufo riportate qui di seguito.

Fiume

- Forte, più forte - gridava il fiume,
le mani piantate nei fianchi
dove l'acqua si gonfiava dimenandosi,
puntava il piccolo fosso fra le rocce bianche,
penetrava sfrontata in cerca di un'estasi salvifica.
E noi fummo gocce,
                    e terra
                    e pietre,
sotto gli scrosci e il tremulo verde
delle piante specchiate.
Feriti, lavati, lacerati dalla piena che si levò
in gorgoglìi di trine
verso dita di salice.
Fummo dolore, ebbrezza,
parole di colla e frammenti divini,
sciami di neve agli inguini
e poi fuoco.

Sanguigna

E' qui che sgocciola il duemilacinque,
in questi giorni da calpestare ancora
con impeto consueto
e una maschera di dolcezza,
sotto un cielo che illividisce e pesa
e già s'inverna di bava bianca sulle cime-guglie
della nostra immensa cattedrale di terra.
Sfuma in respiri asmatici,
agonizza dietro un fianco di luna l'anno terminale,
con rapidi sussulti vitali
in attimi impregnati di uno sguardo che ravviva
e proietta nel futuro, in un mattino spezzato.
Le prove di cenere e carbone
hanno passi di sanguigna, a tratti.
Basta un colpo di spugna.

Incipit

Morbido il guscio che richiama alla terra
in macchie sfrangiate,
scotomi flosci e cangianti;
ed ecco la lesione,
il primo odore vago d'erba umida,
il respiro penetrante, avido d'ossigeno.
Poi tutto si spacca, si sfalda,
il corpo esplode al mondo
e già rimpiange l'amniotico silenzio.
Gli specchi, l'acqua,
la voce che avvolge e compensa,
la mano calda che imprime l'istante dell'inizio.
Si aprono le danze già frenetiche,
al ritmo di una polca senza fiato.

La voce al cielo

La ninfèa galleggiava sul suo letto d'acqua,
separava i giorni dal dolore
e pietre mascheravano il viaggio ambito,
la speranza raccolta nel pugno
stretto più della gola.
Lì sognava steli d'ombra
e schiaffi di pioggia,
la mano incurante che la recidesse.
Spinsi la voce al cielo a estorcere promesse
ma già pronto era il Golgota,
nitido, perentorio come un dono,
come il filo che cuce la sera.

(Poesie tratte dal volume "Katana", Spring Edizioni, Caserta).

***

Divenimmo presto schiavi
quando una foglia fu eletta argine d'impudicizia.
Avvertimmo la pelle limite frustrante, guaina di ferro,
e in essa un corpo da comprimere.
Mutare, allora, fu salvezza: gonfiarsi, dimenarsi,
spaccare il velo, abbandonarlo infine.

1)
Verso di me che verso scagli, velenifera musa,
con quale verve ti avventi a vellicare
gli spazi vertebrali, con verginale tocco,
toto corde. Totem del mio tempo sei tu, dolceamara,
e non so se temere la tua ombra o tutta indossarla
toccando il fondo.

(Da "Exuvia", inserita nell'Antologia "Il Nettare e la Musa" curata da Armando saveriano, PerVersi Editori).

Anna Ciufo è nata a Formia, vive e lavora a Salerno. Ha pubblicato le raccolte di liriche "Di questi giorni parlati"e "Il timore accigliato delle pause" con l'Editore Ripostes, e "Katana" con le Edizioni Spring. La sua attività poetica è stata recensita su riviste letterarie e molte delle sue liriche sono inserite in antologie di poesia contemporanea, tra le quali, ultimamente, "Il Nettare e la Musa", PerVersi Editori, curata dal poeta e critico Armando Saveriano.
Scrive per la rivista online "Lapilli". Collabora con la Rivista Culturale "Miscellanea". E' vicepresidente del Centro Artisti Salernitani.

sabato 4 maggio 2013

Bandita la XI Edizione 2013 del Concorso Nazionale di Poesia "Città di Sant'Anastasia"


E' stata bandita la XI Edizione del Concorso Nazionale di Poesia "Città di Sant'Anastasia", con una novità: l'introduzione di una sezione riservata al libro edito di poesia.
Qui di seguito il regolamento:


CONCORSO NAZIONALE DI POESIA “CITTA’ DI SANT’ANASTASIA” - XI EDIZIONE 2013

Regolamento

Il Comune di Sant'Anastasia (Napoli) indice e promuove la XI Edizione 2013 del Concorso Nazionale di Poesia "Città di Sant'Anastasia", avvalendosi dell'Organizzazione e Direzione Artistica dell’Associazione “IncontrArci” di Sant’Anastasia - Circolo Letterario Anastasiano. Al concorso potranno partecipare tutti i cittadini residenti in Italia o all’estero, purché i testi siano in lingua italiana.

SEZIONE POESIA SINGOLA

Si partecipa a questa sezione inviando una o due poesie in lingua italiana a tema libero, di lunghezza non superiore ai 50 versi, in 6 copie, di cui una soltanto completa di generalità, recapiti telefonici ed e-mail, e di una dichiarazione firmata in calce che ne attesti la paternità.
Nell'ambito di questa sezione è anche possibile presentare un'ulteriore poesia ispirata al tema: "Ambiente e territorio vesuviano", in lingua italiana od anche in vernacolo napoletano, sempre in 6 copie di cui una con le generalità.
Si precisa che l'Organizzazione non pone alcuna restrizione sull'inedicità delle poesie presentate, o se trattasi di testi già premiati e/o segnalati in altri concorsi: unica norma da rispettare è che l'autore dichiari che il testo presentato è di sua esclusiva creatività e proprietà.

Si richiede un contributo unico per spese organizzative di Euro 10 (dieci) da versare su c.c.p. nr. 63401236 intestato all’Associazione “IncontrArci”, con causale: Concorso di poesia Città di Sant’Anastasia XI Edizione, Sez. Poesia Singola. Fotocopia del versamento dovrà necessariamente essere allegata agli elaborati.

Premi

Soltanto per la sezione a tema libero in lingua italiana, sono previsti i seguenti premi:
1° premio: Euro 600; 2° premio: Euro 350; 3° premio: Euro 250.

In base alla graduatoria generale stabilita dalla Giuria, saranno inoltre premiati con Targhe ed eventuali premi speciali:
- la migliore poesia ispirata al tema "ambiente e territorio vesuviano";
- la migliore poesia di un Autore giovane (fino a 23 anni);
- la migliore poesia di un Autore del territorio (Sant'Anastasia e dintorni).

SEZIONE POESIA EDITA

Si partecipa a questa sezione con un libro di poesie pubblicato non anteriormente al 2010.
Il libro va consegnato in 4 copie, accompagnato da un foglio che riporti le generalità complete dell'Autore, i suoi recapiti telefonici ed eventuale e-mail.
Si richiede un contributo per spese organizzative di Euro 5 (cinque) da versare su c.c.p. nr. 63401236 intestato all’Associazione “IncontrArci”, con causale: Concorso di poesia Città di Sant’Anastasia XI Edizione, Sez. Poesia Edita. Fotocopia del versamento dovrà necessariamente essere inclusa nel plico.

Per questa sezione è previsto un unico premio di Euro 500.

DISPOSIZIONI GENERALI VALIDE PER AMBEDUE LE SEZIONI A CONCORSO

1) E' possibile la partecipazione contemporanea ad ambedue le sezioni di poesia singola e di libro di poesia, versando il contributo totale per spese organizzative pari a Euro 15 (quindici).

2) I plichi dovranno essere spediti unicamente al seguente indirizzo: SEGRETERIA DEL CONCORSO NAZIONALE DI POESIA “CITTA’ DI SANT’ANASTASIA”, PRESSO UFFICIO POSTALE DI MADONNA DELL’ARCO, 80048 MADONNA DELL’ARCO (Napoli), entro il 15 ottobre 2013. Si prega caldamente di evitare le raccomandate. Per la Sezione Poesia Singola è anche possibile l’invio per posta elettronica all’indirizzo circolo-lett-anastasiano@hotmail.it  In questo caso si dovrà allegare anche la fotocopia dell’avvenuto versamento, oppure indicarne gli estremi.
Gli elaborati non saranno restituiti. I libri entreranno a far parte della Biblioteca Comunale. L’Organizzazione non risponde di eventuali disguidi postali o mancati recapiti.

3) A discrezione dell'Organizzazione, e in base alle valutazioni della Giuria, potranno essere inoltre conferiti altri riconoscimenti consistenti in manufatti in rame dell’artigianato locale, libri e pubblicazioni artistiche messi a disposizioni da eventuali Sponsor.
I premiati e i segnalati riceveranno inoltre diplomi con motivazioni.

4) I nomi dei componenti della Commissione esaminatrice, il cui giudizio è insindacabile e inappellabile, verranno resi noti il giorno della premiazione, che si terrà in Sant'Anastasia in giorno e luogo da stabilirsi (comunque entro l'anno 2013). Soltanto i premiati ed i segnalati saranno tempestivamente avvisati.
Gli altri partecipanti potranno conoscere i risultati del concorso sui siti: http://concorsopoesiasantanastasia.blogspot.com; http://circololetterarioanastasiano.blogspot.com,  e sugli altri siti letterari, oppure telefonando in Segreteria.
I premi dovranno essere ritirati direttamente dagli interessati. Soltanto in caso di seria e comprovata indisponibilità, è ammessa la delega per iscritto. In caso contrario, i premi non verranno consegnati né spediti.
Ai sensi dell'art. 10 della L. 675/96, si assicura che i dati personali relativi ai partecipanti saranno utilizzati unicamente ai fini del Concorso.

Per eventuali informazioni, è disponibile la Segreteria (081.5301386 ore serali); e-mail: circolo-lett-anastasiano@hotmail.it.

L'Organizzazione ringrazia tutti coloro che vorranno diffondere la notizia del presente Concorso di Poesia.
Si prega di non attendere gli ultimi giorni per l’invio degli elaborati, onde facilitare il compito della Segreteria e della Giuria.    

I VINCITORI DELLE PRECEDENTI EDIZIONI

I Ediz. 2002: Clara Di Stefano (sez. A).
II Ediz. 2003: Salvatore Cangiani (sez. A); Giovanni Caso (sez. ambiente e territorio vesuviano).
III Ediz. 2004: Armando Saveriano (sez. A); Salvatore Cangiani (sez. ambiente).
IV Ediz. 2005/6: Gennaro Grieco (sez. A); Vincenzo Russo (sez. ambiente).
V Ediz. 2006/7: Carmen De Mola (sez. A); Armando Saveriano (sez. ambiente); Alessandro Nannini (sez. Giovani); Massimo De Mellis (sez. Locali).
VI Ediz. 2007/8: Giovanni Bottaro (sez. A); Agostina Spagnuolo (sez. ambiente); Vanina Zaccaria (sez. Giovani); Alessandra Mai (sez. Locali).
VII Ediz. 2008/9: Rodolfo Vettorello (sez. A); Adolfo Silveto (sez. ambiente); Erlinda Guida (sez. Giovani); Raffaele Liguoro (sez. Locali).
VIII Ediz. 2009/10: Paolo Polvani (sez. A); Rossella Luongo (sez. ambiente); Francesco Iannone (sez. Giovani); Domenico Cassese (sez. Locali).
IX Ediz. 2011: Loriana Capecchi (sez. A); Raffaele galiero (sez. ambiente); Giovanna Garzia (sez. Giovani); Anna Ruotolo (sez. Locali).
X Ediz. 2012: Benito Galilea (sez. A); Giovanni D'Amiano (sez. ambiente); Sandra Biondo (sez. Giovani); Floriana Coppola (sez. Locali).

martedì 19 febbraio 2013

La poesia di Narda Fattori

Narda Fattori è una voce poetica importante dell'attuale panorama letterario italiano. Importante e interessante, anche perché è una di quelle persone che, oltre a frequentare con meritato successo il mondo poetico (il suo Nome è ben noto), si impegna attivamente nella diffusione della poesia, partecipando a vari incontri ed organizzando eventi letterari.
La sua poesia, come ebbi a dire in una nota sul suo ultimo libro, "Le parole agre", è senz'altro rispondente ai requisiti essenziali della poesia più alta, cioè a dire: la ricchezza polifonica e plurisignificante della sua parola poetica, in un susseguirsi melodico nel verso, dove acquistano giustamente importanza e vigore espressivo grazie ad una costruzione ispirata e indovinata, frutto della sua indiscutibile esperienza letteraria e poetica.
Proponiamo qui di seguito alcuni suoi testi inediti, chiedendo ai lettori di aggiungere qualche gradito commento.


Ai disperati

Le intermittenze del desiderio
s’adattano alle incognite del buio.

Si grattano scaglie d’ interno dolore
Psoriasi dell’anima.
Nessun sorriso oltre i muri bassi.
Si scrivono con inchiostri indelebili
condanne ad libitum eseguibili.

Molte le intermittenze dell’amore
sul bianco terrore dell’atarassia
cuore di sabbia in territori ignoti
dove copula dolore con dolore.
abbrunita ogni bandiera.

Fidati come farebbe un cane.
Come un cane .
Credi all’onda che chiama e richiama
sono nessuno a dirti ti amo.
Non guardare. Non voltarti. Non piegarti.
Non so niente di domani ma

impastiamo terra con terra mani con mani
la pena si fa lieve quasi si vola.

***

Canzone di Eva

Ah io non so più amarti
disperata regina di cuori
non ho pudore d’amore
mi ripasso sull’indice
dietro l’orecchio il ricciolo
dei tuoi capelli. Io Eva
ho scambiato l’amore
per un amaro seme
di trigonometrie

sul mio ombelico piangi
che io ti resti sempre a ridosso
che ti culli il terrore delle ossa.
Io madre amante sorella figlia
l’altro da te che sono io
imperfetta simmetria

Io madre che sempre dà
piegata al dominio delle assenze.
Ma io ti ho fatto per il ritorno.

E sempre sei tornato al latte
del mio seno a coricarti
sul mio ventre casa ultima estrema
quando l’asso pigliatutto muscoli in vista
torna con la ferita nella mente
le ossa vuote l’urlo nelle orecchie.

Siamo rimaste le mie sorelle ed io
a tessere la vita a colmare
panieri di pane oblativo
in attesa - anche sui marciapiedi
simulacri di madre- a riprenderti
bimbo che ha dimenticato il pianto.

E sempre mi trovi – amante -
Abbiamo pagato pegno.
Io resto. Se cadi ti curo.

***

Di noi

Abbiamo i lati oscuri esposti
alla radente luce dell’ovest
vespertina e breve

abbiamo mani inabili
al termine di braccia corte
che non arrivano ad abbracciare
un gracile bambino
un vecchio dalla pelle trasparente.

Pensieri senz’aria televisivi
vagano per i supermercati
s’allargano in rotonde cittadine
s’infrangono su specchi di vetrine.

Le unghie biancoperfette
graffiano dorsi come cortecce
lisce a linfa chiara
che non riescono ad uscire
dal lungo inverno abbronzato
da lampade UVA.


All’ammasso numeri in statistica
e i viaggi sempre lontani e i pensieri
sempre più corti bisettrici
di angoli statici di noi stasi che monta
come un’ ira sottesa e smangiata
fumi da palude o da deserti.

Ma quanto attesa resta prima- vera
luce di stella.

***

Dei tempi

L’acqua del fiume pettina i sassi
e li distende su un giaciglio d’ombre
per tinche e trote

l’acqua che scende dal tetto
dilava i pensieri rugginosi e grevi
li fa scendere lungo le grondaie
fino a perdersi nei canali fognari
ma non c’è acqua cattiva
forse sono cattivi i pensieri
mai lavati dal sole
pensati all’oscuro pescati fra i tanti
e l’acqua li sfugge per non farsi inquinare
e continua a lasciare sul fondo
cocci di cuori estinti
maschere di cartapesta
per un carnevale di frivolezze senz’aria
per trombette di carta e coriandoli

e i bambini restano senza costume
senza lazzi e spade di cartone

tutto hanno requisito gli adulti
e l’acqua scorre s’allontana e ritorna

oh capitasse di vedere un girotondo
di mani intrecciate senza artigli…

***

Canzone degli addii

Ci siamo abbracciati sotto l’arco
che s’apriva nella piazza
l’addio è stato una formalità
c’era un a rivederci fra le stelle
nella notte nitida e brillante
che ci trapassava il petto

non dolore non doveri non averi
un addio senza colonne da ragionieri
così come fanno i ragazzi che
si piangono sulle spalle e s’aggrappano
alla maglia quasi forse un’ancora
dopo l’addio nel mare aperto
alle burrasche alle onde alte
allo strillo di gabbiano sgraziato
sopra il ventre azzurro
che ci volle uomini e pesci
uccelli e insetti fiori e biancospini

ci siamo abbracciati nel sonno
ancora tante volte per ritrovarci soli
in un’alba irriverente che non si cura
della tazzina sbrecciata del caffè amaro
anima mundi l’amore con dentro
tutto il dolore.

***

Canale di Sicilia

I pescecani sentono da miglia e miglia di distanza
l’odore della paura che viene dai disperati

si imbarca acqua copriti sorella e tu bimbo
qui stretto fra le mie braccia – chiudi gli occhi
non guardare in faccia la morte . Ha gli occhi cattivi
noi non abbiamo più niente per quietare la sua fame.

Da schermi digitali quasi in diretta scene di delitto
cadono ad uno ad uno poi a gruppi fra flutti scuri
migranti dalla pelle nera bellissimi occhi di bambini
pieni di stupore –non avevano saputo che litalia
entrasse nei polmoni a riempire alveolo su alveolo
senza respiro ma in tempo per vedere il tuo braccino
in bocca al pescecane.

E poi il buio. O canti della mia gente o danza di piedi
o fame e zanzare e mosche vacche dai fianchi magri
e le mie mamme -dove sono le mamme

Ma tu griot continua a cantare canta non cessare
la poesia dei semplici ha vite da salvare.

Narda Fattori è nata a Gatteo, dove vive. E' autrice di numerose pubblicazioni di didattica per diverse e qualificate case editrici. Numerose sono anche i suoi libri di poesia. Ultimamente ha pubblicato "Le parole agre", ed. L'arcolaio, Forlì, con prefazione di Ivano Mugnaini.

giovedì 14 febbraio 2013

Carmen Gallo e la sua "Paura degli occhi"


"Abito nella tua assenza come in un paese straniero": questo verso iniziale potrebbe essere il nocciolo fondamentale della linea poetica della nostra giovane autrice napoletana, Carmen Gallo, la quale dimostra di possedere già un suo forte dettato, incisivo e diretto, a volte trepido, costruito con grande sicurezza e consapevolezza del proprio talento. La sua è infatti una poesia discorsiva e riflessiva, con la quale lei stessa cerca di colmare gli spazi vuoti e freddi della quotidianità, o della banalità dell'esistenza quotidiana. Cerca gli anfratti, gli stretti, gli angoli delle stanze, per giungere alla luce ed alla positività della vita.
La "Paura degli occhi" è una sua recente silloge, apparsa nell'Antologia "Registro di Poesia #5" per le Edizioni d'If di Napoli, e qui di seguito ne riportiamo alcuni brani. La nostra poetessa merita di essere letta e seguita, per cui chiediamo ai nostri affezionati amici lettori, di aggiungere un loro gradito commento.

Da Paura degli occhi,  pubblicata in parte in Registro di Poesia #5, Edizioni d’If, Napoli 2012.

Abito nella tua assenza come in un paese straniero
ogni notizia che giunga da te
abbatte aerei, rovina raccolti
la dura sostanza del limite
costruisce mura tutt’intorno al cielo bucato
ho foto, miniature preziose
ho grammatiche della confessione pronte al macero
il nostro orizzonte verticale erano i cardini della porta
i tarli hanno risparmiato solo loro

ma noi così immobili
come potevamo rinunciare
al nostro essere porta infinita
passaggio per l’inverno
noi la cecità degli ancora vivi
finestre sul buio incandescente


***

Era un’eccezione
il buco della serratura
l’angolo nella stanza
solo in prospettiva era concessa
una tremolante via di fuga, un’occhiata
Alla finestra del vicino
ancora e di nuovo
trattenere a stento la pelle
tra pareti che cadono dall’alto
poi le linee scure, trame che non ricordo
avevano maglie troppo larghe
per ricucire le finestre
e giocare
a battaglia navale fra le nuvole
perdevi sempre tu --
come ora, nella casa in disparte
dove non sono più giochi
i nostri finti suicidi
ci siamo finiti davvero
tra le luci di un altro

***

È arrivato il dono, il fuoco
il rosso
È arrivata la terra, la città
che non conosco
e dovrebbe essere facile
a questo punto
sistemarvi al centro
la lama visibile dei polsi
la schiena curva delle parole
e lasciare che gli occhi sentano
che la pelle infine veda
ma la mano ancora trema
ed io resto immobile
a guardare la trama
che hai scelto per me
la sollevo e penso
scegli me
scegli me

***

Lo stretto e il necessario
attraversa lo spazio
tra l’impero e il suo contrario
l’insonnia gira intorno agli occhi
cerca un varco per farsi mare
e in tanto piove addosso
la tua legge divina
burocrazia del creato
allunaggio mancato
ufficio reclami
dei giorni dispari e pari

nella stanza mani vanno e vengono
e si respira il sale
delle ferite da cicatrizzare

inclinare il piano del sacrificio
e in silenzio chiedere aiuto
nel varco delle braccia
nel vuoto delle braccia
farsi mare, e cancellare l’acqua

Messina, novembre 2010

***

Ora che si fa più vicina
l’ora del ritorno
che a distanza di ciglia
sento il petto andare e venire
l’armonia delle sfere
e l’ingranaggio del sale
stride l’unghia sui denti
e la bocca nell’aria raccoglie parole
Le tue parole, le tue parole
che tu venga o che parta
porti sempre le tue parole
come strade, ponti, tetti
le tue parole hanno il profilo
delle città liberate dalla guerra
come voci vicine alla fine
hanno il colore delle cupe in cui s’infiltra il sole
a chilometri di mancanza
sento il fiato andare e venire 

Carmen Gallo (Napoli, 1983) lavora all’Università "L’Orientale" di Napoli e si occupa di letteratura inglese, in particolare della poesia metafisica inglese (Donne, Herbert, Crashaw). É stata due volte finalista al premio Mazzacurati-Russo per la poesia (2009-2010; 2011-2012), e al premio Subway Letteratura-Sezione Poesia 2011. Nello stesso anno, ha ricevuto la menzione d’onore al Premio Montano. Alcuni testi sono stati pubblicati in antologie (Registro di Poesia #3, 2010 e Registro di Poesia #5, 2012, Edizioni D’If, Napoli). Con Tommaso Di Dio, Alessandra Frison, e Domenico Ingenito cura gli incontri di lettura di giovani poeti “Fuochi sull’acqua” che si sono tenuti a Milano, Napoli e continueranno nei prossimi mesi in altre città italiane.

lunedì 11 febbraio 2013

Altri inediti di Alessandro Canzian


Con molto piacere riproponiamo qui di seguito dei testi poetici di Alessandro Canzian, che, come sappiamo, oltre ad essere un valente poeta, è anche molto attivo nel campo editoriale, essendo il responsabile della "Samuele Editore" di Pordenone.
Alessandro Canzian conferma ancora una volta, con questi suoi recenti inediti, la sua particolare bravura nel cogliere e fissare immagini, flashes e sensazioni anche minime, in un contesto di vita abitudinaria e trasognata, e renderle poeticamente significative, con un discorso breve e diretto, ma essenziale.
Coloro che ci seguono, sapranno sicuramente aggiungere qualche altro gradito commento, e per questo li ringraziamo fin da ora.

Il latte

Il cartoccio del latte e le campane.
Gli stracci nella stanza.
La gatta che da fuori la finestra
vuole la colpa
d’essere l’unica a mangiare.
La stufa accesa. Le calze colorate.

***

La casa 

È un sofismo anche la tenda
arrugginita della doccia.
La fuga delle piastrelle mai pulite
- gli arabi ci contavano gli anni
prima di morire -, la scala
che ogni giorno fa gli indiani
e il battito sottile delle gambe
della vicina che guarda la tv.
 
***

Dalla finestra

Le montagne sembrano capelli
sai, quando piove e le scale
delle case sono gelate,
e i lampioni sono accesi,
e gli aliti fumosi.
Potresti pettinarci gli inverni
se solo avessero significato.
 
***

In treno verso Taranto

Dai finestrini sporchi il freddo.
La neve in mezzo ai campi.
Il paesaggio sa di case
e di cose che non tornano.
Sono cose anche le persone
che nel freddo non respirano.
 
***

Ferrara

Le travi di freddo e neve
alla stazione di Ferrara.
La troppa chiarità non mostra
nulla, i filari non scandiscono
i binari, Dio non lo puoi
guardare nemmeno di spalle.

***

Senigallia

E così si arriva al mare.
Alle ciminiere alte una maceria.
La ragazza che legge Hemingway
ha negli occhi lo stesso verde
che s’ammuffisce contro i muri.
Pare un tempo che non passa.
 
***

Bologna

Un sorriso. Una facile stagione.
La ragazza ha le calze lunghe
e le labbra che sanno d’alcool.
Altri si tengono per mano.
Più in là una svendita d’usato
fa da memoria
da mercato, per cartoline. Una,
forse rumena, legge le carte,
come tutto fosse conoscibile.
 
***

La lampadina

Puoi anche non essere possibile.
Una macchia, uno spruzzo di caffè
a terra per sbaglio. La perfezione
quotidiana è anche la muffa
di ragnatele sulla doccia. È la
porta che non si chiude a un lato.
È il silenzio della casa, feroce,
la lampadina scoppiata.

domenica 3 febbraio 2013

Rosemily Paticchio e il suo "Incipio"


E' un amore primordiale quello che sembra muovere la penna ispirata di Rosemily Paticchio, una vera rivelazione poetica, a mio parere, di questi anni; ed è un ingresso prorompente e meritato, perché nella poesia di Rosemily si nota subito quella forza, quella determinazione e quell'afflato che alimenta di continuo il verso, in un susseguirsi cadenzato di dichiarazioni, di immagini, di emozioni. E' una poesia da "principio", dove la nostra poetessa vuole collocare il punto essenziale del mondo, scaturigine di tutte le cose: "Prima di tutto era la gioia di neve, l'improvviso stupore del ghiaccio...". Una genesi quasi biblica, che vede però perdersi l'umanità quando sarà il momento di separare il "Sogno" dalla cruda realtà fisica di un mondo in perenne evoluzione.
Proponiamo qui di seguito alcuni brani della silloge, intitolata appunto "Incipio", pubblicata da L'Arca Felice Edizioni; gli amici lettori che ci seguono potranno, come sempre, lasciare un loro gradito commento.
La foto di copertina è di Rossella Venezia.

***


Prima di tutto era la gioia di neve 
l’improvviso stupore del ghiaccio 
nel contatto gelido
era la corolla a invocare il bocciolo
il nettare a contemplare la sostanza. 
Prima di tutto era l’assenza straripante di colori
era l’insieme riassuntivo dei teoremi
la grazia nascente di un batterio 
nel primitivo pulsare di elementi. 
Prima di tutto era un nome
senza nome
l’impronunciabile antimateria 
che declinò in polvere 
autografata da uno zero. 
Prima di tutto era la fiamma
che bruciava lenta senza sapere
la matrice che coniò il primo stampo
Era la gestazione di un seme
un agguato teso alle sorgenti del sole 
un sogno dentro al sogno
una lotta sovrumana contro il tempo.

***


Poi venne... la Separazione dal Sogno

Qui vi è il margine di separazione
dal Sogno
che il silenzio oltrepassa sulle punte
e un librarsi d’ali spinge nel vento
come tempio sospeso tra nubi
con l’arcata che pende dal cielo
e arcobaleni finemente illustrati
quali nicchie di un abside esterno
che l’andar via sottile dei corpi
lo svestirsi degli abiti
in un soffio di voliera azzurra 
rende la gabbia possibilmente semichiusa
sulla zona d’ombra di un micro-universo
e gli uccelli in suoni convulsi
eseguono melodie incendiate
a ritmo crescente.
Potremmo salpare qui dove le sponde
di muschio bianco videro le gondole
migrarsi oltre l’Oceano della Scienza
perduto sulle scie d’incenso!

***

Incipio

Io non partecipo all’incipiere del giorno
non odo i trilli delle albe pungenti
ma dimoro soltanto
nei posti estesi prescelti dalla mente
tengo la rotta scura del crescersi diverso
ho bocche da  sfamare
come lupe d’inverno
espressioni aperte a colonizzare
le visioni di un insieme
orifizi tesi a cogliere il soliloquio
di un dialogo imperfetto
Imperfette Desinenze.
Nessun posto abitai per intero
ma gravitante fui tra i boschi
rigogliosi di un tempo
dove poggia il morbido piede
dorme il mio ventre allegro
                                        sulle Tracce 
dell’ombelico profondo
le andature distorco sul sentiero.
E se così pervenni alla nascita
a non sbavare i contorni
ciò che tremo in fondo è l’orlo
non  le cime più alte.

***

Eco di Fantasia

In questo vago dolce nutrimento
s’aggira inquieta una flotta di segni
d’incerti voleri dissolti
al brillare di sguardi lucenti
ogni presenza in barca ciondola
tenendo stretto tra denti di piombo
il suo sogno integerrimo.
L’acqua che proviene sublima
la superficie del vetro
sui ciottoli fragranti di passi.
Che sia  un’eco di Fantasia
o il frantume di schegge  taglienti
di per sé vuotoflesse
se sostare soffoca il fiato
se la salvezza di un lume è esigere
lEnigma esistente
sulla carrucola di sogni e desideri
Andiamo pure!
Un grande atrio spalanca l’emisfero
ricevendo il rosone dei viventi 
il cui esercizio dei poteri è immenso
nel contrappasso che genera l’ascesa
lo scioglimento del rosario ai vespri
50 grani fluorescenti al tocco intenso
di membrane e particelle
che in congiunzione cercano gli anelli.

Ma in fondo è debole la mensa 
e si resta in preghiera
nei nostri umili panni lisi.

***

Spazi segreti



Come esiste mughetto tra i fiori di campo
esiste luogo d’incanto
che non risiede ma ci ho visto viaggiare
su battelli sospinti a vapore
la creatura leggera e slanciata
a pochi passi da Dio
con l’anima assetata di cristallo
straripante di petali e forme
nel respiro un infuso di tisana
e vapori di agrumi sul volto
coinquilino dell’erba rugiada.
Sorge eterno e complanare all’altro
incolmabile Spazio a Spirale
scavato nel tunnel di un ipotetico viaggio
mentre intorno è pieno di ordigni
pronti all’implosione
vaganti sulla polveriera nera.
Luogo in cui Realtà, Sogno
sedimentano nel mucchio informe
nello stesso agro infinito saffollano
in giacimenti sorgivi
Vanno su locomotive fumanti
interminabili spazi segreti.



***

Dendros_01 (Anima mundi)

Nella sosta lieve, nella veglia profonda
nel riposo inviolabile
di una foresta in_vergine
dimora d’illusorio nonessere
si carica il solfeggio di uccelli
con armonie di tempere a fresco
s’ode il canto della dura corteccia
narrante la sinossi di un albero e dei suoi anelli.
Udire i rami è di alto intelletto
le spirali traboccanti di segni
la sfilatura dei tralci
e tessitura di sfere concentriche!
Si dilata nei polmoni aperti una chioma
dai fitti misteri a tratti sinchina
con la direzione del vento, a tratti si ferma
con lo sguardo rivolto a rotondi di cielo
come un magnete che si beve la luce
per fotosintesi del piccolo progetto.
Ogni ramo è un abile arciere che la
 lancia affonda nel petto di un confitto
orizzonte
e sul sipario fecondo e redditizio
si riflette tutto il bagliore suo
                                             Anima Mundi!


***

Dendros_02
(Via del Silenzio)


Nel segreto dei boschi
sinoltra un cammino
di segnacoli accesi per la Via del Silenzio
di una stele raminga sul prato
che pigia gli apici dei clandestini rigagnoli
i molteplici antri cardiaci
di minuscole larve sommerse.           
Ora è un pioppo dallo spacco tortora
ora un cipresso
la cui ombra è il sottobosco di un regno
le propaggini un osservatorio immobile
orientato a nervo scoperto
verso il mantello cucito di pelle.

Sembra fermo il ventricolo destro
eppur si muove
rigenerato di linfa nel sangue
sembra ferma la rugiada appesa
eppur si sfracella                      
Figliando Goccioline
ogni goccia è un riverbero di arteria
un sussulto nel silenzio della selva.

Muto è il ramo ad imperare
sullabisso del pineto
muto è il passo d’animale o uomo
sulla stola d’aghi pungenti, come
l’Abitare d’ogni quieta creatura
con un solo gesto di presenza.


Rosemily Paticchio, poetessa leccese, esordisce in campo letterario nel 2012 con la pubblicazione della raccolta poetica “Prima che i germi”, nell’ambito del volume antologico “Retrobottega 2” (CFR Edizioni), con saggio critico di Gianmario Lucini, e successivamente con il libretto di poesie “Incipio” per la collana Coincidenze di Arca Felice Edizioni, a cura di Mario Fresa. Negli ultimi anni ha pubblicato suoi componimenti in varie antologie di Perrone Editore e partecipato a concorsi letterari, vedendo pubblicate alcune poesie nelle relative raccolte antologiche; altre sono state selezionate e pubblicate nell’ambito dei Premi “Verba Agrestia 2011” (Lietocolle) e “Dal manoscritto al libro 2010” (Perrone). Alcuni suoi contributi poetici sono apparsi su riviste letterarie, blogs e spazi on line dedicati alla poesia. Ha pubblicato racconti sulla rivista per ragazzi “Un due tre stella” (Lupo ed.) e collaborato con artisti operanti sul territorio locale, curando i testi creativi di mostre fotografiche e installazioni.

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà